Il fiume inesistente

Il fiume inesistente
di Mario CAZZATO
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Giovedì 17 Agosto 2023, 08:51 - Ultimo aggiornamento: 19 Agosto, 14:26

Fin da quando Orazio definì la Puglia siticulosa, la visione di una regione arida e afosa è divenuta un luogo comune, ancorché veridico, per letterati, viaggiatori e geografi. E tuttavia codesta rappresentazione, quasi ovvia, contrasta con l’altra, secondo cui lo spazio prossimo agli abitati si presentava florido e produttivo. E basti leggere la cinquecentesca “Descrizione” dell’Alberti. Quindi da qualche parte l’acqua c’era, magari nascosta e difficile da captare, ma c’era. Convinzione comune, nata probabilmente riflettendo su questi opposti fenomeni, che nel sottosuolo di Lecce scorra un fiume d’acqua dolce. Tanto che alcuni, digiuni più di acqua che non di vino, affermano di averlo visto scendendo – non ricordano però da dove – nelle viscere cavernose della città; talaltri di averlo sentito ruscellare secondo un percorso a zig-zag e, stranamente, senza mai intercettare i fossati che cingevano con continuità il castello e la città che erano e sono stati sempre secchi.

La leggenda

Quindi un fiume che scorre in maniera bizzarra, che si inabissa per poi risalire, sfidando le leggi fisiche. Secondo questa vulgata, il fiume, dopo aver visitato sotterraneamente la città, sua sponte dopo diversi chilometri si dirige verso la costa, ritrovando la foce ma perdendo la fonte. È la più tenace leggenda metropolitana che è vissuta e vive unicamente nella dimensione verbale, perché nessuno ne ha mai scritto ma tutti ne parlano meravigliandosi, anzi, che tale “attrattiva” non sia sfruttata turisticamente. Bontà loro. Questo fiume ha però un nome vero, Idume, probabilmente forgiato dai letterati nostrani cinque-seicenteschi, che vi scorsero un riflesso linguistico di Idomeneo, mitico fondatore preistorico di Lecce. Altro parto della fervida e inutile fantasia leccese. Ma tali scrittori, come i successivi, si riferiscono chiaramente a un reale corso d’acqua perenne che sbocca nel litorale adriatico a nord di Lecce, tra Torre Chianca e Torre Rinalda: da sempre si è cercato di poterlo adeguatamente sfruttare, con le sue acque, specialmente a scopo irriguo. Tentativi falliti per l’elevata salinità delle medesime. Non c’è verso di capire chi e quando ha creato questo falso che continua imperterrito sul web ad aggiungere – più che acqua – falsità a falsità. C’è persino chi scrive che «molte famiglie (leccesi) avevano l’abitudine di lavarsi presso piscine realizzate... sul fondo di alcuni edifici e che alcuni abitanti di origine ebrea ne utilizzavano le acque per compiere riti sacri e particolari purificazioni, come testimoniano alcune iscrizioni sulle rocce del fiume».

Per ovviare a questo “fiume” di fandonie – c’è chi nel presunto corso sotterraneo ha notato pesciolini rossi, chi addirittura si è avventurato con la barca e chi ancora spera di farsi un bel bagno fresco come facevano gli antichi leccesi – è stato pubblicato il libro “Idume e altre storie d’acqua” (2020), che dal punto di vista storico-geologico ha smontato questa incrollabile credenza frutto in gran parte di digiuno delle due discipline ricordate, la storia e la geologia. Si tratta di equivoci belli e buoni spesso scambiando, ad esempio, le cisterne d’acqua piovana, unica forma di approvvigionamento idrico per i leccesi prima della costruzione degli acquedotti, come punti di emersione del fiume sotterraneo. Nessun autore dall’antichità ad oggi ha mai parlato di fiume nascosto. Ovviamente non ne parla il grande Cosimo De Giorgi e chi, prima e dopo di lui, ha studiato il sistema idrico superficiale e sotterraneo di Lecce e del suo territorio. Una cosa è certa: la ricchezza delle acque sotterranee del Leccese e la loro circolazione si spiegano solo studiando seriamente gli assetti geologici del territorio che, come è stato dimostrato, non permettono la presenza di corsi d’acqua sotterranei ma unicamente di falde dove si accumulano grandi quantità di acqua grazie alla permeabilità degli ammassi rocciosi assai discontinui e fratturati che costituiscono il banco della cosiddetta pietra leccese, la tenera calcarenite spesso affiorante che ha permesso la costruzione dei monumenti della città.

Ecco invece una realistica descrizione del sito dell’Idume fatta da alcuni periti nel 1828: «Il fiume Idume, le cui acque perenni sorgono dal suolo, è sito tra Torre Chianca e Torre Rinalda in tenimento di Lecce e propriamente sull’Adriatico ove si scarica per mezzo di due foci, una detta Bocca del Fiume verso Torre Rinalda, che noi la trovammo corrente, e l’altra detta Sagnia verso Torre Chianca, la quale era chiusa da sabbia […]. Il letto del fiume è ineguale tanto nella sua lunghezza che nella profondità. La figura di questo letto è serpeggiante che al ripiegare verso Torre Chianca unisce due altre braccia di acqua corrente provenienti una dalla sorgente nominata Capo di cavallo e l’altra Canale morto, da diverse altre sorgenti. Questo fiume è valicabile con barche di mediocre grandezza ove si tirino a rimorchio nel solo passaggio delle foci e circoscrive un’isola di dune tra esse e il mare ove esiste un tugurio per ricovero. Nel fondo del suo letto vi sono due perenni sorgenti di acque dette volgarmente ajsi, uno detto ajso piccolo l’altro detto ajso grande verso la foce della Torre Rinalda. Diverse altre acque per tortuosi canali si scaricano nel fiume nascenti queste da molte sorgenti site in territorio limitrofo a detto fiume. L’enunciato fiume e parte delle sue diramazioni son site nelle proprietà della Venerabile Casa di S. Paolo di Napoli, luogo detto Specchia Melogna, e parte delle stesse di proprietà aliene».

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