Teresa Paladini e le nobili di detta città e vergini, vedove e maritate

Teresa Paladini e le nobili di detta città e vergini, vedove e maritate
di Maria AGOSTINACCHIO
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Giovedì 3 Agosto 2023, 17:45 - Ultimo aggiornamento: 4 Agosto, 13:27

Nobildonna di antico lignaggio, fedele esecutrice testamentaria delle volontà di suo marito, Bernardino o Berardino Verardi, mecenate e benefattrice, Teresa Paladini è indissolubilmente legata alla fondazione del Conservatorio e dell’annessa chiesa di Sant’Anna, un complesso monumentale nella centralissima via Libertini di Lecce, che invita i visitatori a una sosta per rinvenire le tracce della storia di questa donna dal carattere forte e risoluto e per rendere omaggio alle sue spoglie mortali.

La nascita


Teresa Paladini nasce a Lecce il 4 aprile 1629 e fu battezzata il giorno successivo. Dall’atto di battesimo ricaviamo il nome del padre, Francesco Antonio Paladini, del ramo dei conti di Lizzanello, e quello della madre, Cornelia d’Aiello, nobile tarantina. Teresa non conobbe mai suo padre perché era già morto prima che lei nascesse. Con la sua famiglia abiterà accanto alla chiesa di Sant’Antonio alla piazza o San Giuseppe. Primogenita, ebbe due fratelli da un altro padre, Margherita (morta nel 1701) e Gianbattista (morto nel 1693), entrambi senza prole. Di lei non si conosce nulla fino al matrimonio celebrato nel novembre del 1652, dalla loro unione non nacquero figli.


Persona specchiata e ricca di proprie sostanze, Bernardino negli anni ’70 del Seicento rivestì la carica prestigiosa di «maestro e rettore» dell’ospedale dello Spirito Santo, il più importante della città, e fu sindaco pro tempore dell’Università di Lecce. Morì il 3 dicembre 1679 e venne sepolto nella tomba di famiglia nella chiesa domenicana di San Giovanni Battista a pochi passi dal palazzo dove per poco meno di trent’anni aveva vissuto con Teresa.
Il suo testamento, dettato il 1° dicembre 1679, fu aperto il 7 dello stesso mese e, com’è noto, egli nominò sua moglie Teresa erede universale, disponendo che dalle entrate dei suoi beni lei dovesse «edificare e fondare» un Conservatorio con chiesa per il «sostentamento di tante signore quante saranno capaci le entrate di detta eredità; bastando che tali signore siano nobili di detta città e vergini, vedove e maritate». Teresa non era obbligata a realizzare immediatamente le disposizioni del marito scomparso, ma memore dell’affetto che aveva ricevuto, trasformò quell’intenzione caritativa nello scopo della sua vita. Decise dunque di costruire il Conservatorio su porzioni del cinquecentesco palazzo dei Verardi, nell’isola di san Paolo. Forse chiamò immediatamente Giuseppe Zimbalo, il maggiore architetto dell’epoca, che già aveva lavorato per i Paladini in diverse occasioni.


In ogni caso si sa con certezza che a metà del 1680 Teresa chiese e ottenne da Domenico Stabile, allora sindaco di Lecce, lo spazio di una via pubblica, un vico, necessario per la costruzione del nuovo complesso. Quattro anni dopo chiesa e Conservatorio sembravano completati. Nel 1685 venivano pubblicate le regole del Conservatorio suggerite dal vescovo Michele Pignatelli per il buon governo delle gentildonne che ivi dimoravano: queste dovevano essere «vedove, zitelle o anche maritate», le ricoverate non erano tenute a osservare la clausura regolare, non essendo il Conservatorio un monastero, ma non era permesso entrare o uscire a piacere. Il vescovo poteva, secondo i casi, permettere a qualcuna di dimorare per brevi periodi fuori del Conservatorio. A capo c’era la superiora che fu Teresa fino alla fine dei suoi giorni. La nobildonna aveva anche stabilito le famiglie che potevano accedere al Conservatorio
in ordine di priorità: Paladini, Cicala, Afflitto, Venturi, Prato, Carducci, Corso, Guarini, Enriquez e Scaglione.
Il 1° luglio 1686 le prime educande potevano entrare nel Conservatorio perfettamente completato con l’attigua chiesa, mentre due anni dopo Teresa faceva realizzare dallo Zimbalo le due ricche targhe ai lati dell’altare maggiore, in cornu evangeli quella dedicata a suo marito e in cornu epistolae a sé stessa, entrambe sormontate dai ritratti: emerge la scelta di Teresa, ormai sessantenne, di farsi raffigurare in abito monacale con tunica, velo e aderente soggolo bianco. Le due lunghe epigrafi, probabilmente da lei stessa dettate, colpiscono non soltanto per la sua proficua cultura letteraria intrisa di fiorito linguaggio barocco, ma soprattutto per la fedeltà incrollabile alla memoria del defunto marito, tanto che si sottolinea Teresa uxor.

La vita del Conservatorio

La vita del Conservatorio per alcuni decenni trascorse serenamente, governata dalla saggezza della cauta superiora e dall’osservanza delle costituzioni. Ma ben presto iniziarono tramestii giudiziari. Nel 1692 Giuseppe Zimbalo fu chiamato da Teresa per testimoniare che la loggetta costruita sulle case di Carlo Tafuro, confinanti con il monastero, costituivano motivo di scandalo perché dalla stessa si poteva spiare nel giardino del Conservatorio, mettendo in gran soggezione le monache. Nella controversia ebbe ragione Teresa e il Tafuro fu costretto ad alzare un muro e a chiudere così le finestre di affaccio. Ma proprio in quegli anni si presentava un increscioso problema familiare: alla sua morte il fratello Gianbattista Paladini aveva dato i suoi beni esclusivamente alla sorella Margherita che, a sua volta, aveva nominato eredi delle sue sostanze i carmelitani leccesi. Esclusa dall’eredità, Teresa intentò una lunga causa contro i carmelitani che si protrasse ben oltre la sua morte nel 1714. Nelle carte della lunga lite si afferma che il fratello Gianbattista «era poco amorevole di Teresa e questo era notorio a Lecce».


Ma altre nuvole minacciavano la sua serenità: con atto rogato dal notaio Fabio Trubaci, il 27 maggio 1700 la stessa Paladini, dopo aver incluso nell’elenco delle famiglie quella dei Maremonte, precedentemente tralasciata per errore, aveva asserito che per volontà sua e del marito l’ente non doveva essere soggetto a clausura e addirittura doveva essere svincolato dalla giurisdizione dell’ordinario diocesano, ma sottoposto al governo del re. A maggior chiarezza del fatto, Teresa fece scolpire sulla facciata di Sant’Anna le insegne reali. Il vescovo intuì o pensò che dietro queste azioni ci fosse l’intento di estrometterlo dall’amministrazione del Conservatorio medesimo e ben due volte comminò l’interdetto contro il Conservatorio e la chiesa stessa. Ormai tutta la città parlava di questa contrapposizione tra il vescovo, Fabrizio Pignatelli, e Teresa, donna sola ma decisa. Dopo due anni, nel 1702 Teresa ritornò a miti consigli: riabilitò le regole del 1685 e riportò il Conservatorio sotto la giurisdizione vescovile.


Le turbolenze però non erano finite e avevano il nome di Gustavo Paladini, nipote scapestrato e violento. Costui, con la scusa di recuperare alcuni beni, sottrasse a Teresa un’ingente somma e anche dei preziosi gioielli valutati «centinaia di ducati». Gustavo era un abile truffatore e non restituì mai nulla alla zia che, amareggiata, lo escluse espressamente dal testamento che aveva sigillato il 16 gennaio 1707. Teresa chiuse gli occhi il 5 novembre 1714 e nell’atto di morte l’estensore sottolineò il suo ruolo di fondatrice del Conservatorio e la sua irreprensibile vita monastica. Fu sepolta in ecclesiae dicti sui conservatorii, nonostante ci fosse ancora l’interdetto.
In quell’atto di ultima volontà, aperto pochi giorni dopo, il 10 novembre, Teresa nominò erede universale il Conservatorio, elencò i torti subiti e i raggiri del nipote Gustavo escluso da ogni diritto e indicò nel vescovo pro tempore l’esecutore testamentario. La Paladini volle assicurare la buona conduzione economica del Conservatorio che, a quanto sembra, lasciò in una situazione florida tanto che, nel 1764, si decise di ricostruire l’ingresso realizzando quell’ampia scalinata che ancora ammiriamo, con l’imponente portale d’accesso sul quale gli amministratori del tempo vollero incidere, in latino, un’iscrizione che ricorda come questo sicuro asilo per nobili fanciulle e matrone fu realizzato nel 1674 da Teresa Paladini per assecondare la pia volontà del defunto marito Bernardino Verardi, e fu da lei arricchito con i beni paterni. Di tanto ne ebbe cura il vescovo Alfonso Sozy Carafa lyciensis praesul.


La storia poi non è stata clemente con il complesso monumentale voluto da donna Teresa, almeno fino agli anni recenti che hanno visto il restauro e la riapertura di entrambi i monumenti. Nel tempo sono andati perduti i ricchi corredi liturgici e i paramenti sacri, in gran parte con le armi dei Paladini-Verardi: rimane al Museo d’Arte Sacra, nel palazzo dell’Antico Seminario in piazza Duomo, un magnifico ostensorio argenteo che un tempo serviva per le funzioni più solenni a Sant’Anna.

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