​La profezia apocalittica e Lepanto

La Chiesa del Rosario a Lecce
La Chiesa del Rosario a Lecce
di Mario CAZZATO
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Lunedì 31 Luglio 2023, 17:41

Oltrepassando porta Rudiae ammiriamo l’impettita e legnosa facciata della chiesa domenicana di San Giovanni Battista ricostruita a fine Seicento dal «migliore architetto» di Lecce, ossia l’ormai anziano Giuseppe Zimbalo. La facciata di questa basilica, detta del Rosario, è misurata in larghezza da due alti basamenti: quello a sinistra regge la statua di san Tommaso che calpesta il mostro dell’eresia e l’altro è privo della statua che è andata perduta in epoca imprecisabile. Quanti di voi hanno mai osservato e/o interpretato i rilievi realizzati nella parte superiore di questi basamenti? E quanti hanno sciolto la doppia iscrizione Ezechielis capite p(rimo)? E, secondo voi, nella Lecce di fine Seicento quanti individui potevano intendere questo mistero linguistico che dovrebbe, poi, spiegare le più enigmatiche figure superiori scolpite ad altorilievo? Questo ci fa presupporre che il pubblico al quale si rivolgevano i dotti domenicani con queste operazioni fosse una platea risicatissima. Probabilmente per i domenicani gli interlocutori erano gli altri ordini religiosi, quasi a dire: “Visto come siamo bravi a utilizzare en plein air le Sacre Scritture?”. Quella frase indica chiaramente le parole del profeta Ezechiele, al capitolo primo, quelle con le quali profetizza, appunto, i tremendi castighi di Dio verso il popolo eletto, allora in esilio per costringerlo al pentimento. In Ezechiele il versetto 5 dello stesso capitolo contiene la celebre visione dell’essere a quattro ali e quattro facce, sotto le quali spuntano due zampe come quelle di un vitello. Intorno a questo essere, proprio come nel nostro rilievo, «apparivano come dei carboni infuocati che sembravano lampade che lampeggiavano tra quegli esseri: il fuoco splendeva e da esse schizzavano fulmini» (Ez 1, 13). È quel sole rappresentato ai lati dei nostri basamenti dai quali s’irraggiano fulmini, come nella profezia.


Allo stesso modo «le ali erano distese verso l’alto e si toccavano due a due e volavano» i corpi degli esseri (Ez 1, 11). Come il linguaggio di Ezechiele è carico di immagini complesse destinate a illustrare il messaggio che il profeta, per mano di Dio, indirizza al popolo in esilio, così i rilievi profetici delle nostre due basi vogliono, col medesimo linguaggio simbolico, istruire il popolo cristiano. Solo quello colto però, la restante parte – la maggiore – doveva rimanere incantata e intimorita da quei segni ai quali attribuiva un misterioso messaggio sacrale. E non a caso fin qui nessuno ne ha mai parlato. E forse pensava a tutto questo Vittorio Bodini quando cantava: «qui c’erano accademie / e monaci sapientissimi». E prima: «e morde nella gola / il palmizio e la chiesa del Rosario», la nostra.
E visto che stiamo sostando sul sagrato della chiesa – scusate le impalcature ormai arrugginite – entriamo in chiesa per scoprire alcune realtà artistiche nascoste da secoli. La prima è un ritratto cinquecentesco di un gentiluomo ora passato al Museo “Sigismondo Castromediano”, già individuato come quello di Calvino (1509-1564) il celebre riformatore che ebbe molta influenza su Lutero, e forse frutto di un sequestro da parte dei vigilantissimi domenicani: fu tenuto chiuso per molto tempo, interdetto alla visione e nascosto alla memoria, tanto da riemergere soltanto alcuni decenni fa. Lo stesso interno conserva poi diversi richiami alla battaglia di Lepanto (1571), come l’altare del Rosario – il Rosario era una tipica devozione dei domenicani – sormontato addirittura dalla statua di don
Lecce Svelata.


Giovanni d’Austria, l’eroe di Lepanto così celebrato non solo in patria ma in tutta Europa, con modalità iperboliche anche molto dopo l’evento, proprio come qui a Lecce. Sulle pareti della stessa chiesa si conservano alcune tele con episodi di quel combattimento epocale contro i turchi che nel 1571 segnò, seppur provvisoriamente, la supremazia in mare delle forze che componevano la Lega Santa comandata proprio da don Giovanni, figlio illegittimo dell’imperatore Carlo V. Il nome di Carlo V compare in maniera ossessiva sui monumenti leccesi del periodo, a cominciare da porta Napoli nota, appunto, come arco di Carlo V: secondo alcuni, male informati, celebra la visita dell’imperatore a Lecce, che non ci fu mai. Altro parto della fantasia locale, rafforzata dalla notevolissima diffusione epigrafica e araldica: per esempio, nel castello sulla porta falsa, sotto lo stemma, è incisa la nota epigrafe encomiastica inter utromque solem antipodum occasum ex orientemque nostrum sub pedibus omnia regit ossia “Carlo V regge ogni cosa sotto il suo dominio tra entrambi i soli, quello a Occidente e l’altro, il nostro, a Oriente”.

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