La scarpa, il pane, le arance e la forca: San Francesco “pellegrino”

La scarpa, il pane, le arance e la forca: San Francesco “pellegrino”
di Giovanni COLONNA
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Lunedì 7 Agosto 2023, 16:54 - Ultimo aggiornamento: 10 Agosto, 18:15

San Francesco compì un viaggio attraverso la Puglia. Pochi lo videro, molti scrissero della presenza del santo tra le città e le campagne di questa terra. La sua visita sul monte Gargano al santuario di San Michele Arcangelo e una sua sosta a Bari sono le tappe più attendibili. Tra il 1219 e il 1222, ritornando dal viaggio in Terra Santa, Siria ed Egitto, il Santo Poverello d’Assisi pare si sia fermato anche nel Salento.


Sbarcato a Otranto, da qui percorse la Puglia in lungo e largo, da Santa Maria di Leuca a Monte Sant’Angelo, erigendo, o facendo erigere, conventi a Bari, Lecce, Taranto, Alessano, Bisceglie, Cerignola, Diso, Gallipoli, Gioia del Colle, Gravina di Puglia, Manduria, Mottola, Oria, Ostuni, Otranto e, ovviamente, sul Gargano; si fermò a predicare anche ad Andria, Barletta, Lucera.

L'Ordine dei minori


L’Ordine dei Minori – come egli denominò il gruppo dei suoi seguaci – si diffuse velocemente. Il Salento era parte della provincia minoritica di Apulia, una delle primissime province dell’ordine serafico. Un manoscritto del 1732, riferendosi ad antichi documenti dei primissimi anni del XVI secolo, ci fa sapere che «il convento di san Francesco in Lecce fu fondato da alcuni frati del glorioso Padre, che fu l’anno dieci da che aveva principato il suo Ordine»: quindi correva l’anno 1219. La tradizione vuole che i frati fossero benevolmente accolti in città, ottenendo dai signori Guarini una casetta attigua a una chiesetta, intitolata a San Giuliano, e che casa e chiesa formasse il primo convento e la prima chiesa minoritica di Lecce. Sempre la tradizione, piuttosto che la leggenda, racconta che il Santo Patrono d’Italia si compiacque di venire a Lecce per visitare i suoi frati.

San Francesco a Lecce


Le cronache più antiche, note come la Legenda antiqua, convengono tutte sul viaggio fatto da san Francesco per Apuliam e, in particolare, accennano alla venuta del Poverello d’Assisi a Brindisi, Lecce e Oria. La venuta di san Francesco a Lecce si mantenne ferma e costante attraverso i secoli e, per non dimenticarla, il giorno 8 febbraio 1504 i frati ne fecero stipulare un atto pubblico «per notar Giovanni Pietro De Guerrieris di Lecce, omni solemnitate, con l’autentica dell’Abate Don Domenico Petruzio, commissario apostolico e vicario generale di questa diocesi». Una lapide fu apposta in un oratorio, oggi distrutto, segnando il luogo che era indicato come dimora del serafico padre. Il convento francescano fu a Lecce il primo di frati edificato nelle mura dell’antica città. Giulio Cesare Infantino nel suo Lecce Sacra, deducendolo da alcuni versi scritti da san Paolino nel 397 in lode del vescovo san Niceta di passaggio dalla Terra d’Otranto e diretto verso la Dacia, crede che fin dal IV secolo ci siano stati «molti ordini religiosi così di uomini come di donne». Eppure, prima dei francescani, nessuno di questi ordini aveva dimora entro le mura della città: i benedettini, sostituendo i basiliani, pregavano e lavoravano nella loro dimora presso la chiesa e l’abbazia dei Santi Niccolò e Cataldo, fuori le mura; così pure gli agostiniani, che erano nel monastero con l’annessa chiesa, oggi di Sant’Angelo, ubicati fuori dalla cinta muraria. Merita di essere riferito, infine, che fu leccese il primo vescovo francescano, fra Gabriele (o Guglielmo) di Lecce, che dal 1218 al 1222 guidò la Chiesa di Policastro, diocesi suffraganea della Metropolia di Salerno.



Nel 1273 l’Università, vale a dire la civica amministrazione del tempo, fece erigere a proprie spese un comodo convento e una chiesa in onore di San Francesco, canonizzato nel 1228, in sostituzione dei primitivi chiesa e convento che intanto erano stati già ampliati con altre donazioni dei signori Guarini.
E da dove arriva il titolo di San Francesco della scarpa? Ora, il titolo di “della scarpa” è comune in molte località italiane e risale alla fine del Trecento, allorquando la numerosa famiglia dei frati minori si era divisa in frati conventuali e frati osservanti. Ai frati conventuali fu assegnato il nomignolo di “frati della scarpa”, per via dei loro calzari, distinguendoli così dai frati osservanti che invece indossavano gli zoccoli e denominati per questo “zoccolanti”. Da qui derivò naturalmente il nome di San Francesco della scarpa alle chiese dei frati conventuali.

La leggenda


Inoltre, la leggenda narra che san Francesco, prima di partire da Lecce, «pregato dai buoni leccesi a donar loro un ricordo, non avendo altro da offrire, lasciò a essi una sua ciabatta». La leggenda fu completata dal popolo, aggiungendo che i frati consegnarono questo prezioso dono ai signori Guarini, volendoli così ringraziare per la loro generosità, e questi custodirono la sacra reliquia senza mai più mostrarla ad anima viva.
Sempre in tema di leggende, attingendo alla memoria domestica di una famiglia patrizia leccese, si narra che un giorno san Francesco, andando in giro per la questua come usavano fare i frati, entrò nel palazzo del nobile Alessandro Perrone, sindaco della Città e, a suo dire, discendente di sant’Oronzo, primo vescovo di Lecce. Qui un paggio bellissimo offrì al santo, a nome del padrone di casa, un pane bianchissimo a forma di ciambella, la palomma che le massaie salentine preparano per la Pasqua. Il padrone sopraggiunse, mentre il paggio si ritirava. San Francesco ringraziò vivamente il nobile signore il quale, meravigliato, spiegò che in casa sua non c’era pane né di quella forma né di quel candore. Quel pane poteva essergli venuto soltanto dal Cielo e concluse che quel paggio non poteva che essere un angelo. La gioia fu tanta in quella famiglia e, a ricordo di quel prodigioso avvenimento, il patrizio fece scolpire, quale chiave dell’arco del suo palazzo, un angelo recante un pane a forma di ciambella, come tuttora si vede.


Non solo pane, ma anche le arance. Infatti, se il pane è un chiaro riferimento al padre eucaristico, l’arancia è simbolo d’amore: da donare, ricevere, scambiare. Insieme al cedro e al limone, l’arancia simboleggiava la santissima Trinità: i tre agrumi, distinti nella forma, sono unici nella sostanza. Limoni e aranci venivano piantati nel giardino di casa come nei portici delle chiese, simboleggiando gli antenati e le anime nei corpi mortali. Secondo una diffusa leggenda, anche a Lecce, nell’oratorio accanto alla chiesa e convento francescano, il serafico padre piantò un albero d’arancio. Accadde pure che un giorno san Francesco, non riuscendo a sfamare i suoi compagni, chiese la carità a un devoto il quale, profondamente mortificato per non aver nulla da offrirgli, chiuse la porta. Per nulla turbato, san Francesco bussò una seconda volta, ma ottenne la stessa risposta. Riprovò una terza volta e l’uomo, a disagio per non poter accontentare il questuante, gli disse che in casa non aveva neppure un briciolo di pane. Anzi, proprio in quell’anno, pure l’unico albero di arancio che possedeva in giardino non aveva dato frutto. San Francesco chiese di essere accompagnato vicino a quell’albero e fu immenso lo stupore del padrone di casa quando vide che la sterile pianta era cresciuta rigogliosamente e aveva un grande carico di frutti meravigliosi.


Nei suoi Annales, in cui raccoglie i fatti della storia francescana, l’olandese Wadding racconta un penoso episodio avvenuto a Lecce. Un frate rinnegato aveva espresso il desiderio di rientrare nell’ordine. San Francesco gli diede «il bacio della pace», accogliendo così la sua richiesta. Poi, guardando le forche piantate su un rialzo lì vicino, il santo aveva ammonito il frate perché non tornasse nuovamente sulla sua decisione, altrimenti sarebbe stato vergognosamente appeso a quelle forche. Il frate, però, abbandonò nuovamente la veste religiosa e condusse una vita folle e libertina. Alcuni mesi dopo, sorpreso a rubare, fu impiccato, proprio come Giuda il traditore, e come aveva predetto san Francesco.

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