Beatrice e Fulvio: delitto d’onore

Beatrice e Fulvio: delitto d’onore
di Fernando CEZZI
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Giovedì 10 Agosto 2023, 18:31 - Ultimo aggiornamento: 11 Agosto, 20:57

Verso le due pomeridiane del 13 luglio 1636, come scrivono le “Cronache di Lecce”, il principe Fulvio di Colle d’Anchise, governatore di Terra d’Otranto, sorprese nel palazzo de’ Giudici, sua dimora leccese, la moglie Beatrice Moccia mentre scriveva un biglietto d’amore e la uccise in un eccesso di gelosia, insospettito forse anche da dicerie che gli erano giunte e dal luogo in cui la moglie scriveva: un «camerino», ossia una stanzetta appartata, forse un ripostiglio, un luogo, comunque, di segretezze e nascondimenti. Alle cinque di quel pomeriggio Ippolito, il fratello di Fulvio, partì subito per Napoli, mentre dalla Regia Udienza Provinciale si mandò ad arrestare Fulvio, per tradurlo nelle carceri del castello. Qui però al suo arrivo il ponte venne alzato e perciò il principe fu provvisoriamente recluso nella casa del regio Uditore, Vico, funzionario dell’Udienza Provinciale, che, nel vuoto di potere lasciato dal governatore sotto accusa, rispondeva al reggente della Gran Corte della Vicaria e ai suoi ufficiali, a Napoli: qui si sarebbero inviati i dati dell’inchiesta e si sarebbe aperta una prima fase del processo, da celebrare poi a Madrid, presso il Sacro Regio Consiglio. Fulvio, rispondendo alle prime domande dell’inquirente, avrà certamente accusato Beatrice di tradimento del vincolo matrimoniale.

Le esequie di Beatrice

La notte che seguì al pomeriggio del delitto, Beatrice – su un «cocchio» guidato da un «solo cocchiero» – venne sepolta senza pompa nel sepolcreto della famiglia Prioli, in cattedrale, sotto la cappella di Santa Maria della Scala: i tre preti officianti morbosamente curiosi, aprirono la bara e videro il cadavere della principessa vestito solo di una lacera gonnella lorda di sangue, i capelli tutti «ravvogliati». Ci si potrebbe chiedere perché queste esequie – sbrigative e furtive, come probabilmente il caso consigliava – abbiano avuto luogo in cattedrale, anziché in santa Maria della Luce, nel «pittagio» di porta san Biagio, in cui si trovava il palazzo dei de’ Giudici. L’importanza politica del geloso marito avrà suggerito al vescovo, Scipione Spina, e forse anche alle autorità militari, di tenere sotto miglior controllo, nella cripta del duomo, il cadavere e i curiosi?

Il biglietto scritto alla sua cameriera Laura

Nei giorni successivi si venne a sapere che Beatrice scriveva quel biglietto per una sua cameriera analfabeta, Laura Troilo, nome ricordato da Pasquale Cavallo nei suoi Nobili Napoletani, la quale doveva recapitare una lettera al futuro prossimo sposo, tale Andrea. Chi era questa Laura? Non si sa, ma si possono immaginare i suoi dubbi e le ansie, nei giorni precedenti la decisione di rivelare il suo segreto. E a chi ne avrà parlato, dopo essersi confidata con i suoi e con il suo amato? Al vescovo Spina? O a Lucrezia de’ Giudici, che aveva offerto ospitalità ai coniugi di Costanzo nel suo palazzo, prestigioso immobile che – poco prima di morire, il 25 agosto di quello stesso anno – avrebbe donato ai gesuiti? Le argomentazioni del principe, comunque, dovettero sembrare alle autorità meno convincenti delle parole di Laura e di altri testimoni ascoltati se il 22 luglio, appena nove giorni dopo l’assassinio di Beatrice, giunse da Napoli l’ordine di carcerare Fulvio nel castello di Bari. L’ordine venne eseguito, e il 25 successivo la Regia Udienza, proseguendo nella sua inchiesta per accertare complicità e responsabilità, fece carcerare tutta la servitù del principe.

L'interrogatorio 

Si ignorano le modalità e gli esiti di questo interrogatorio, ma certamente si saranno raccolti dati sufficienti a scagionare Beatrice, perché il 14 agosto nella chiesa di sant’Irene si celebrarono per lei le esequie solenni, riparatrici dell’ingiusto e furtivo seppellimento precedente. Girolamo Cicala (1599-1643) – del ceto nobile di Lecce, soldato, poeta, mecenate – dedicò all’amica Beatrice nove dei suoi Carmina in ricordo della sua tragica morte; in uno di questi, qui in traduzione italiana, Beatrice si rivolge al lettore con queste parole: «Mentre ero intenta a scrivere l’amore legittimo di un’altra, come dono di pura amicizia, ahimé, tu, mio marito, m’accusasti di essere colpevole di un amore illegittimo, e violentemente mi colpisti con la spada. E naturalmente morii: e morii, io, Beatrice, felice, perché potei morire colpita dalla tua mano, o marito. Non mi preoccupo del resto: quando arriverai alla sommità del Cielo, avrai la prova della fedeltà sincera della moglie». Per restare in campo per così dire poetico, può essere interessante fare accenno a una misteriosa pasquinata dedicata a Beatrice, che si legge in una raccolta di altre pasquinate. Sono testi – contenuti in “Successi Tragici et Amorosi” di Silvio e Ascanio Corona – un po’ piccanti e un po’ scandalistici, costituiti da uno o due versetti biblici, riformulati sulla storia della «dama» di volta in volta presa in considerazione; per Beatrice il compilatore parafrasa in latino Proverbi 1, 24-26, qui ora in italiano: «Ti ho chiamata e non mi hai risposto, io invece al momento della tua morte ti ho ascoltata». Nella forma originale il testo riguarda l’appello che Dio rivolge all’uomo, che rifiuta di ascoltarlo, sì che Dio gli dice che, al momento della morte, sarà lui, Dio, a non ascoltarlo, e anzi se ne «riderà»; nelle parole rivolte a Beatrice, come si è visto, lei non avrebbe accolto la chiamata di Dio, ma al momento della morte lui l’aveva invece ascoltata e quindi perdonata. Se il rifiuto di Dio è il peccato, a quale colpa di Beatrice – poi rimessale da Dio in procinto di morire – si riferisce il Pasquino napoletano? Solo il 10 dicembre giunse da Napoli – si riprende ora il racconto delle Cronache di Lecce – un consigliere del Sacro Regio Consiglio, tal Barrella, delegato a compilare un dossier sul delitto, raccogliendo e riordinando l’inchiesta del Vico. Tra pile di fascicoli e altre carte, e soste natalizie, si arrivò ai primi di gennaio 1637, quando si disseppellì il corpo di Beatrice: il consigliere Barrella lo prese formalmente in custodia e il 15 del mese se lo portò a Napoli, dove la principessa avrà avuto certamente un onorevolissimo rito funebre nella chiesa o nella cappella della propria famiglia.

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