Un vescovo poi papa e un terribile vaticinio

Un vescovo poi papa e un terribile vaticinio
di Gilberto SPAGNOLO
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Lunedì 7 Agosto 2023, 16:22 - Ultimo aggiornamento: 16:44

Il luogo dove riposano i resti mortali del protettore di Lecce, Oronzo, è rimasto un mistero e dopo tanti anni, quasi duemila, continua a rimanere tale. Nel corso dei secoli molti ci provarono a recuperare quelle sante reliquie, ma a ogni tentativo c’era o si creava sempre un impedimento insormontabile. Ricaviamo dalle cronache del Coniger, per fare un esempio, che qualche anno prima del 1483, data della sua morte, Francesco del Balzo, duca di Andria, trovandosi a Lecce per conto del sovrano, offrì «a quella università lo corpu de Santa Irene e lo corpo de santo Oronzio» che lui, avendo già esperienza in merito «sapea dove stavano» nascosti; ma i leccesi si dimostrarono ingrati e «pigri e non degni di tanto bene» e pertanto quel luogo doveva rimanere – colpa dei leccesi – ancora segreto. Bene.


In pieno infuriare della peste, cioè nell’estate del 1656, con la capitale ridotta allo stremo, uno stranissimo prete calabrese, ospite nelle carceri vescovili di Lecce in quanto presunto eretico, si mise a scrivere le sue mistiche visioni che servirono di base per confezionare parte della passio di sant’Oronzo. Ebbene, anche costui vaticinò che il corpo di sant’Oronzo era sepolto sotto la cattedrale «ma per giusti ed altissimi fini, dell’Onnipotente, non si potevano ritrovare se non che nell’estremo bisogno della città». E nonostante che questi momenti di «estremo bisogno» (terremoti, carestie, pestilenze, ecc.) ce ne sarebbero stati molti ancora, negli anni Venti del secolo scorso si scavò nella cripta della cattedrale senza esito e non si avverò «il sogno che ha formato l’ansioso anelito di generazioni lontane».

E il pensiero ossessivo di tale ritrovamento balenò nella mente del nuovo vescovo che successe al Pappacoda, ossia Antonio Pignatelli, che prese possesso della diocesi leccese il 12 giugno 1671. Rimase vescovo di Lecce fino al 1682, dieci anni dopo fu eletto pontefice con il nome di Innocenzo XII.
I suoi numerosi impegni lo tennero lontano dalla sede episcopale per lunghi periodi, ma questo non gli impedì di pensare a sant’Oronzo, che fu il tramite del suo legame mai interrotto con la diocesi ormai lontana.
Quasi una garanzia di tale interdipendenza. Non è un caso che nel 1672 Carlo Bozzi gli dedichi una delle prime biografie su sant’Oronzo e compagni. Lontano da Lecce, il vescovo Pignatelli ordinò che si scavasse per recuperare i resti mortali del protettore. Interpellò pure, sempre in quel 1675, suor Chiara d’Amato, una mistica in odore di santità, ma questa profetizzò che nulla si sarebbe rintracciato con terribili parole: «Non li troveranno perché non si muovono da divozione ma da curiosità». Una specie di condanna.


Quando il vecchio vescovo leccese ascese al soglio pontificio nel 1691, la città ordinò sontuosi festeggiamenti. In questa occasione al nuovo papa, Innocenzo XII, fu dedicata un’incisione raffigurante proprio sant’Oronzo, eseguita anni prima da tal Francesco de Lieto. Nella didascalia che l’accompagna, una sorta di lunga dedica, si afferma che l’innocenza porta alla luce l’immagine del divino Oronzo che sulla cattedra vescovile di Lecce aveva preceduto Innocenzo, suo degno successore. E Oronzo e Innocenzo rendono testimonianza delle loro opere «aldilà del cielo»: la classica contorta prosa barocca. Non sappiamo se il papa rispose all’omaggio. Sappiamo tuttavia che quello stesso 1691 in città, proveniente da Napoli, «arrivò la statua d’argento di S. Oronzo... con solennissima pompa». Ma il protettore neanche in questa occasione rivelò alla città festante e grata la sua sepoltura. E così continuarono a recitare per molti anni ancora i devoti leccesi:
Allor sia che goder possa
la tua Lecce giubilante,
quando sia che festeggiante
trovi pur le tue sant’ossa.
 

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