L’amico Fritz è leccese: Nicola Daspuro librettista di Mascagni e talent scout di Enrico Caruso

Il teatro Politeama
Il teatro Politeama
di Eraldo MARTUCCI
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Lunedì 14 Agosto 2023, 12:06 - Ultimo aggiornamento: 17 Agosto, 00:06

«Ileccesi che si fanno onore. Tutti i giornali riferiscono che in questi giorni Mascagni è stato a Napoli e che nell’elegante appartamentino del nostro Nicola Daspuro, a una dozzina di persone o poco più, composta da artisti, giornalisti e poeti, ha fatto sentire le primizie della sua seconda opera, “L’amico Fritz”, o “Suzel” come prima era stata intitolata. Il giudizio espresso da tutti costoro che hanno avuto la fortuna di ascoltare queste primizie è concorde: che cioè se l’entusiasmo dei pochi ascoltatori s’allargherà nel prossimo autunno, quando l’opera sarà data al Costanzi di Roma, non molti trionfi resteranno a ricordarsi nel teatro di musica e che il libretto scritto da Nicola Daspuro è stato fatto in perfetto affiatamento col maestro Mascagni. Le nostre congratulazioni, dunque, al valoroso leccese che ha saputo così bene interpretare il pensiero e i desideri dell’artista».

I giornali dell'epoca

Con queste profetiche parole il “Corriere Meridionale” del 21 maggio 1891, il cui originale è conservato nell’Emeroteca Storica Salentina della Biblioteca “Nicola Bernardini” di Lecce, preannunciava la seconda opera di Pietro Mascagni, che avrebbe poi debuttato nella capitale il 31 ottobre di quell’anno. Ed effettivamente “L’amico Fritz”, opera esile e deliziosa, ebbe da subito una notevole e meritata fortuna rimanendo di fatto l’unica a far compagnia stabile a “Cavalleria Rusticana”, il capolavoro del compositore livornese che la sera della prima assoluta, il 17 maggio 1890 al Costanzi di Roma, lo aveva consacrato un’autentica gloria nazionale.

Chi era Daspuro

E merito del successo va anche al libretto scritto da Nicola Daspuro, firmato con lo pseudonimo di P. Suardon, straordinario personaggio dal multiforme ingegno: scrittore, giornalista, librettista, agente teatrale e impresario edile, nato a Lecce il 19 gennaio 1853, da Domenico e Almerinda Portoluzzo, e morto a Napoli il 13 dicembre 1941. Fu chiamato con il nome del nonno, Nicola Daspuro, importante figura nella Lecce della prima metà dell’Ottocento dove ricoprì il ruolo di Ricevitore Generale della Provincia. Una famiglia di tradizione borbonica, il cui attaccamento si manifestò soprattutto nella figlia più grande, Elena, zia dunque di Nicola junior: quando infatti nel 1833 Ferdinando II venne per la prima volta in visita a Lecce, lei prese parte alla quadriglia d’onore che «il Re delle Due Sicilie ballò nella gran sala dei Tribunali» (“Corriere Meridionale” dell’11 marzo 1900).

Un’altra delle sue numerose figlie è stata Nunziatina Daspuro, madre di Nicola Bernardini, protagonista assoluto della storia culturale di Lecce e cugino, dunque, di primo grado di Nicola Daspuro, che invece visse nel capoluogo salentino per circa trent’anni. E proprio nella città natale scrisse le sue prime, ma non esaltanti, prove letterarie, “Almeno” e “T’avea sognata”, stampate a Lecce nel 1881 come riportato da Amilcare Foscarini nel suo saggio di un “Catalogo Bibliografico degli Scrittori Salentini” del 1894. In quel periodo si stabilì a Napoli diventando corrispondente del “Secolo di Milano” e, soprattutto per la grande amicizia che lo legava a Edoardo Sonzogno, rappresentante generale della casa musicale Sonzogno per l’Italia meridionale.

L'attesa per l'opera

Intanto anche Lecce aspettava con trepidazione “L’amico Fritz”, che sarebbe andato in scena il 14 maggio 1892 al Teatro Politeama Greco. L’attesa era tanta perché l’anno prima, il 2 maggio 1891, nello storico teatro leccese era stata rappresentata “Cavalleria Rusticana” con un successo enorme. Il “Corriere Meridionale” del 21 aprile 1892 annuncia dunque l’imminente debutto della seconda opera di Mascagni: «Fra giorni al nostro Politeama si darà L’amico Fritz, il cui libretto, come si sa, è stato scritto dal nostro concittadino Nicola Daspuro, sotto lo pseudonimo di P. Suardou… decisamente Nicola Daspuro, il cervello più balzano che Lecce abbia messo fuori, vuole affermare la fama d’intelligenza e di attività che i leccesi hanno ognora goduta». E anche in questo caso l’accoglienza del pubblico fu al calor bianco. «Così, dunque, la seconda opera del Mascagni – riporta il “Corriere Meridionale” del 19 maggio 1892 – ha avuto al nostro Politeama un trionfo immenso, completo. La sera del 14 maggio resterà indimenticata. Nella gloria delle stagioni musicali al Regio Politeama non si ricorda una serata di maggior entusiasmi, di maggiori ansie. Lo spettacolo del teatro era magnifico. Tutte le file dei palchi piene; la platea zeppa d’un pubblico impaziente». Sull’onda del successo di quest’opera, Daspuro legò il proprio nome al debutto operistico di Umberto Giordano, che aveva partecipato anche lui al concorso Sonzogno per giovani compositori conclusosi con il trionfo di Mascagni e della sua Cavalleria. Il musicista foggiano in quell’occasione presentò “Marina”, un lavoro in un atto che aveva scritto mentre era ancora studente al Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli. Pur ottenendo “solo” la menzione d’onore, l’opera suscitò l’interesse di Amintore Galli, consulente musicale della casa editrice, che convinse l’editore a commissionare un’opera al giovane compositore. Giordano rivolse la sua attenzione a “Mala vita” di Salvatore Di Giacomo e Goffredo Cognetti, e Sonzogno affidò la stesura del libretto proprio a Nicola Daspuro, che si mantenne molto fedele all’originale pur realizzando un ottimo lavoro. “Mala vita” andò in scena il 21 febbraio 1892 al Teatro Argentina di Roma con un successo strepitoso, ma con qualche riserva della critica. Accolta più freddamente al San Carlo, l’opera piacque invece molto a Bologna, Milano e Vienna. L’insuccesso napoletano spinse però Giordano, nel frattempo assurto a notorietà internazionale con il suo capolavoro “Andrea Chenier”, e Daspuro a rielaborare l’opera che in questa nuova versione, intitolata “Il voto”, fu rappresentata per la prima volta nel 1897 con protagonisti Rosina Storchio ed Enrico Caruso.

Daspuro "scopre" Caruso

Era stato proprio Nicola Daspuro a “scoprire” le qualità di Caruso, giovane e allora sconosciuto cantante partenopeo. Il loro primo incontro avvenne nel 1894 quando l’artista aveva 21 anni (era nato a Napoli il 25 febbraio 1873) e studiava con il maestro Guglielmo Vergine. A raccontarlo è lo stesso Daspuro nella biografia su Caruso che scrisse nel 1938. «Verso la fine dell’autunno del 1894, venne un giorno da me il maestro Vergine – che io già ben conoscevo simpaticamente – e mi pregò con insistenza di volere accordare un’audizione ad un giovane tenore, certo Caruso, suo allievo, il quale – egli diceva – era “in possesso di una voce di una bellezza eccezionale e di una calda e vellutata dolcezza”. Egli sperava che io, dopo averlo ascoltato lo avrei fatto senz’altro debuttare al Mercadante, durante il Carnevale. Gli risposi – ed era la verità – che, con rammarico, dovevo dirgli che, ormai, la Compagnia era al completo e che, durante la imminente stagione, non potevo proprio far niente per il suo “straordinario tenore”. Ma il maestro Vergine non si arrese alla mia risposta: egli, invece, descrivendo con sempre più vivaci colori le meravigliose qualità canore di Caruso, giurando e spergiurando che si trattava di un vero fenomeno e scongiurandomi e supplicandomi, napoletanamente, a nome dei miei vivi e dei miei morti, fece sì che io, un po’ impressionato e anche un po’ commosso da tanto vero entusiasmatico fervore, gli dicessi, infine: – E va bene. Per ora, fatemelo sentire». E in quell’audizione il giovane tenore, accompagnato dal suo stesso maestro al pianoforte, piacque a Daspuro che trovò la sua voce rotonda e carezzevole, riscontrando anche una notevole sensibilità artistica. E gli promise così di farlo debuttare in una recita del successivo carnevale. Debutto che arrivò il 15 marzo 1895 al Teatro Nuovo di Napoli con “L’amico Francesco” di Domenico Morelli. Nel giro di due anni Caruso si fece sempre più apprezzare, ma la carriera ancora non decollava. Ed è a questo punto che rientra in gioco il leccese, che nella primavera del 1897 andò a Salerno per ascoltarlo nella “Gioconda” di Ponchielli. E sempre nel suo libro Daspuro ricorda quanto rimase impressionato da quella voce calda e piena, promettendogli di fare il possibile per scritturarlo al Teatro Lirico di Milano. Incontrò allora Sonzogno a Roma e riuscì ad ottenere per Caruso un contratto per l’autunno di quello stesso anno per tre opere da studiare per settanta giorni, con una paga di cinquecento lire al mese. Tra queste, fu la prima assoluta della “Arlesiana di Cilea”, il 27 novembre 1897, a mandare in visibilio il pubblico e a sancire definitivamente la nascita del mitico “re dei tenori”.

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