Mattarella, Fefé e i ragazzi del volley, la lezione dell'altra Italia

Mattarella, Fefé e i ragazzi del volley, la lezione dell'altra Italia
di Vincenzo MARUCCIO
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Domenica 17 Settembre 2023, 11:28 - Ultimo aggiornamento: 18 Settembre, 19:17

Atleti e non superstar nonostante l'oro sfumato, più spirito di squadra che sommatoria di celebrità per un argento che vale moltissimo. Sconfitti in finale da una Polonia stellare, ma l'Italvolley dimostra che un'altra strada è possibile: la meglio gioventù capace di far leva solo su se stessa, la bella immagine di un'Italia diversa da quella che finisce sui giornali. Tanta delusione per l'Europeo perduto, ma molto da imparare da questi ragazzi. La lezione corre su un doppio binario: per lo sport e, a ben guardare, anche per il Paese. Rivediamo le immagini e mandiamole nelle scuole anche senza sapere esattamente cos'è un ace o un monster block. Lo 0-3 è pesante, ma la promessa arriva già "a caldo": «Dalle sconfitte si impara, da qui ripartiremo».


Di questa squadra capace di conquistare gli italiani ricorderemo gli abbracci e i sorrisi: sinceri e spontanei, come in poche altri eventi sportivi. Ricorderemo gli sguardi scambiati nei momenti decisivi: non il solito "darsi la mano" di altre nazionali, non il solito mettersi in cerchio a inizio partita. Osservateli nel "corpo a corpo" dell'esultanza o nella delusione dopo una schiacciata murata. Giannelli "cerca" Romanò, Lavia guarda negli occhi Michieletto. Una chimica speciale senza bisogno di stelle che brillino più di altre. Certo, c'è un capitano - Giannelli regista tuttofare - ma mai che lo abbia fatto pesare. E un grande merito va al pugliese Fefè De Giorgi, non dimentichiamolo: coach antidivo, mai sopra le righe come certi colleghi, l'uomo giusto per evitare che gelosie e rivalità prendano il sopravvento. «Abbiate fiducia in voi stessi»: il suo messaggio semplice e diretto. Inceppatosi contro la Polonia, ma tornerà a funzionare ai Giochi 2024. A questo servono le sconfitte.
Sia chiaro: questi ragazzi non vivono in una torre d'avorio o "immuni" dal mondo iperconnesso.

Postano foto su Instagram e vanno in discoteca. Pazzerelli anche loro, con quel balletto scaramantico prima di ogni partita. La differenza, rispetto a certi sportivi miliardari coetanei, è che non hanno bisogno di esibirsi: niente gallery social con i tatuaggi, niente sfilate sul red carpet con le fotomodelle e, sempre che lo stipendio lo consenta, niente selfie con Jacuzzi sull'attico. Per non parlare di un posto in tribuna vip a San Siro o all'Olimpico con la nuova fiamma: spettacolo da paparazzi lasciato volentieri alle icone del calcio o del tennis. Estrosi sì, narcisi no. Meglio il basso profilo anche se le fan abbondano. Favoriti dal fatto che oggettivamente il volley non offre i lauti guadagni, la visibilità e le tentazioni di altri sport planetari.


Una lezione che va oltre il rettangolo di gioco. Lo ha capito per primo il presidente Sergio Mattarella che ha già più volte incontrato la Nazionale: appassionato di volley, ma soprattutto capace di intuire le potenzialità di un gruppo che ha riconquistato il grande pubblico. Questi ragazzi trasmettono, senza filtri e ipocrisie, una bellezza interiore contrapposta alle brutture contagiose di certa cronaca: gli stupri di gruppo, le liti finite mortalmente a colpi di pistola, i ricatti sessuali nei quartieri difficili, la patologia invasiva delle tragiche video-sfide. Romanò, Lavia e Giannelli raccontano un'altra gioventù e il capo dello Stato coccola i suoi "nipoti-campioni" perché sa quanto lo sport può insegnare senza passare da divieti e imposizioni controproducenti.
Meglio, però, non tirare in ballo l'etica: si rischia l'effetto opposto. Meglio tornare alle parole di De Giorgi sulle vittorie costruite «scalino dopo scalino». Se manca l'ultimo, bisogna riprovarci: la lezione è che i traguardi bisogna guadagnarseli giorno dopo giorno, con pazienza e senza fretta. Piccoli o grandi che siano perché che non tutti nella vita diventano campioni, scrittori Nobel, rapper da copertina o scienziati ad Harvard. Sbagliano i genitori a pensare che il successo sia il mantra da trasmettere ai figli. Sbagliano i sociologi a non sottolineare che il successo facile - di denaro e di popolarità - è un'eccezione non replicabile oltre che un pericoloso orizzonte psicologico se non controbilanciato da pesi e contrappesi. Non si tratta di demonizzare i social. Si tratta di offrire un'alternativa al vuoto spesso nascosto dietro l'uso ossessivo del web che confonde realtà e finzione smarrendo ogni capacità critica.
Ecco, i ragazzi di De Giorgi (e ormai anche un po' di Mattarella) incarnano quest'alternativa più che un serioso modello. «Ci riproveremo». Così hanno detto dopo il ko: amaro in bocca, ma solito sorriso. Consapevoli che per raggiungere un sogno si deve lavorare duro senza dimenticare la leggerezza dei 20 anni. Qualsiasi sogno, anche quello meno importante. A Caivano come a Milano o nei paesi del Sud. Nello sport come nella vita.
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