Il libro di Fefè De Giorgi: «Egoisti di squadra». L'intervista al coach: «Il pedagogo, la squadra e il mio metodo, vi racconto tutto»

Il libro di Fefè De Giorgi: «Egoisti di squadra». L'intervista al coach: «Il pedagogo, la squadra e il mio metodo, vi racconto tutto»
di Giuseppe ANDRIANI
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Martedì 19 Settembre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 11:25

Ha vinto tutto, da giocatore e da allenatore. L’Italia del volley è stata così bella che persino un 3-0 subito in una finale in casa (contro la Polonia, ndr) non basta a oscurare un percorso meraviglioso. Fefè De Giorgi, commissario tecnico di Squinzano, già vincitore di tre mondiali da giocatore e di un europeo e un mondiale da allenatore, oggi lancia in libreria il suo secondo libro da tecnico azzurro: “Egoisti di squadra”. Lo fa dal suo Salento, dove è tornato, seppur per appena due giorni, per ricaricare le pile. 

Coach, che vuol dire “egoisti di squadra”? E come nasce l’idea del libro?

«Richiamare il concetto di egoismo in questo senso credo sia interessante. L’idea nasce dal fatto che Mondadori, qualche mese fa, mi ha fatto una richiesta: voleva capire metodo e filosofia alla base del gruppo azzurro che ha vinto Europei e Mondiali in due anni. In questo libro non si parla solo di volley. I concetti possono essere applicati anche ad altri sport, alla famiglia, al mondo del lavoro, a tutti quei contesti nei quali ci si trova a dover gestire un gruppo. È il racconto di una tipologia di lavoro, che può essere applicata a vari ambiti della vita». 

Come si fa a essere “egoisti di squadra”?

«Il titolo mi piace, non l’ho scelto io ma ammetto che è molto intrigante. Spesso si parla di egoismo come un elemento negativo, ma non sempre questa narrazione è giusta. L’egoismo dev’esserci, nello sport come nella vita. L’egoismo è un concetto che può essere inteso come la voglia di realizzarsi, di fare qualcosa di bello, insomma di vincere. Il passaggio chiave del metodo che racconto è il come portare l’egoismo a diventare un fattore positivo per la squadra. Il nostro motto, “Noi, Italia!”, non è soltanto un motto. Siamo partiti da lì. Nel libro è spiegato anche il bagaglio di valori che questo gruppo ha portato in giro per il mondo. Il problema non è l’egoismo, ma l’egocentrismo. L’egoismo può sfociare nella squadra e diventare un fattore positivo, se invece diventa egocentrismo è un problema».

L’Europeo in casa, nonostante la sconfitta in finale, ha certificato l’amore della gente per la sua Nazionale. Questa squadra piace anche a chi non segue la pallavolo perché è lo specchio di come il Paese vorrebbe essere. Non crede?

«Ci siamo accorti dell’incredibile affetto della gente per noi. Secondo me ci sono degli ingredienti in questa squadra che piacciono tanto. Abbiamo giovani talenti, educazione, rispetto e soprattutto tanto amore per la maglia azzurra. Credo che tutto questo si veda già dalla faccia dei ragazzi quando scendono in campo.

E piace tanto. Trasmettiamo a chi ci guarda qualcosa di positivo».

Come ha fatto a costruire una Nazionale così bella?

«Questo potete leggerlo nel libro...Scherzi a parte, il percorso per me è iniziato vent’anni fa, quando ho iniziato ad allenare. Ed è quello di cui parlo nel libro».

Si spieghi.

«Da sempre lavoro con un pedagogo, Giuliano Bergamaschi, che mi accompagna ormai da vent’anni. Di fronte abbiamo una persona, non solo un atleta. La crescita di una persona è prioritaria. E si divide in tre componenti: umana, fisica e tecnica. Credo che ci sia sempre un tema di crescita. È una filosofia di lavoro che ho sposato da sempre. E poi ho voluto puntare sui giovani talenti. È importante pensare a quello che i giovani sanno fare bene, non a sottolineare le loro mancanze. A questo ci aggiungo uno staff importante, con il quale si lavora bene. E poi la maglia azzurra, che è la cosa più importante di tutte, la priorità. La più bella».

Quindi non c’è un segreto nel metodo De Giorgi?

«Ma no, assolutamente. Torno al discorso sui giovani: si dice, non solo nel mondo dello sport, che i ragazzi di oggi non hanno valori. Ma non è vero. Bisogna essere in grado di tirarli fuori, da far sì che questi ragazzi riescano a gustare i valori, a utilizzarli».

Tornando all’Europeo: qual è l’immagine che si porterà dietro per sempre?

«Non posso sceglierne una. Porterei con me almeno un’immagine per ogni città in cui siamo stati, quindi cinque. La meraviglia di questo Europeo è stato essere noi ad andare dalla gente. Eravamo noi a spostarci per giocare in casa. E infatti questo non è stato semplice. Siamo andati noi a trovare i tifosi. Abbiamo giocato in cinque città e dovunque abbiamo trovato un affetto incredibile. È stato difficile, perché organizzare i movimenti di una Nazionale non è semplice. Ma è stato bellissimo». 

E ora ci sono le Olimpiadi. Lei non le ha mai vinte da giocatore, è l’unico trofeo che le manca. 

«Le Olimpiadi? Preferisco dire che ci sono le qualificazioni alle Olimpiadi. In tanti parlano di riscatto a Parigi, di rivincita e così via. Ma intanto dobbiamo qualificarci alle Olimpiadi. Su otto squadre ne passeranno due (il pre-olimpico in Brasile inizierà tra undici giorni, ndr). Io penso a questo. Questo è il primo passo, poi vedremo cosa fare a Parigi. A proposito, sul metodo, quasi dimenticavo: è importante procedere step by step. Un passo alla volta, senza bruciare le tappe». 

Quindi ora esiste solo il Brasile.

«Esatto».
 

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