Bullismo e disagi giovanili, la psicologa Pontiggia: «Ragazzi iperconnessi ma soli. E i social diventano una droga»

Bullismo e disagi giovanili, la psicologa Pontiggia: «Ragazzi iperconnessi ma soli. E i social diventano una droga»
di Giuseppe ANDRIANI
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Mercoledì 23 Novembre 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 07:11

Giovanna Pontiggia, psicologa-psicoterapeuta ed esperta in disagio giovanile, lei ha tenuto una conferenza sul tema appena due giorni fa. Esiste un’emergenza giovanile in Italia e in Puglia?
«Sono sempre di più i giovani che intraprendono un percorso di psicoterapia. Alcuni disagi, problemi, sono sicuramente fisiologici e dovuti all’età ma i disturbi si sono evoluti, sono diversi rispetto a qualche tempo fa». 

Come?
«In passato il disagio veniva espresso in altri modi: manifestazioni studentesche o proteste in piazza servivano ad accendere dei campanelli d’allarme.

Oggi i ragazzi sono fuori dalla politica, non fanno parte delle associazioni di volontariato. Il disagio spesso viene espresso tramite un’iper socializzazione, ma alla fine a che serve? I ragazzi sono sempre più isolati, si sentono più soli».

Quindi cosa fare per salvare la cosiddetta generazione Z?
«Intanto partiamo dai valori, che sono un’ancora di salvezza. Non parlo di valori necessariamente religiosi, ma civili. In un evento che ho tenuto qualche giorno fa ho donato a cinquecento ragazzi i quaderni di cittadinanza attiva. È quello che dicevo prima: è importante che la politica si interessi di come recuperare i ragazzi, di come inserirli in questo contesto. La dimensione sociale è fondamentale. Un adulto ha una capacità maggiore di reggere la solitudine, un ragazzo invece se si sente solo ha un problema. Forse se quella ragazzina di Monopoli avesse sentito attorno a sè maggiore vicinanza, anche da parte delle istituzioni, dell’intero contesto sociale, non sarebbe successo quello che invece è purtroppo accaduto».

Quali sono i problemi dei ragazzi di oggi?
«In tanti soffrono di ansia. Ma non immaginate quanti giovani hanno disturbi alimentari o quanti soffrono di autolesionismo. E spesso così si è deboli di fronte alle dipendenze. Anche queste oggi sono cambiate, non sono quelle di vent’anni fa». 

Quali, ad esempio?
«Una su tutte: i social. Basta parlare con i ragazzi per capire quanto possa essere pericoloso per il cyberbullismo Instagram. L’iperconnessione è un falso mito: sono sempre connessi ma troppo spesso sono soli». 

La pandemia ha influito?
«Credo che il covid e l’isolamento per due anni sia stato solo un fattore aggiuntivo, non un fattore scatenante. Questi problemi già c’erano, magari dopo due anni chiusi in casa si sono aggravati, ma non dipendono dalla pandemia. E poi abbiamo notato che dopo la pandemia è aumentata la pigrizia dei ragazzi, l’apatia nei confronti del mondo circostante. Questo, chiaramente, è un problema».
 

Quindi come fare?
«Dobbiamo lavorare tutti insieme sui fattori di prevenzione. Ma tutti. Genitori, ragazzi, docenti, famiglie, istituzioni, politica. Credo sia l’unica soluzione».
 

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