«Quante ore, quanti mesi, quanti anni della nostra vita lasciamo sulle strade? Quanti, in particolare, su una sola strada, la "nostra strada"? Lo studio, il lavoro, gli amici, gli amori, la famiglia, il gioco, il divertimento, il viaggio, il dolore, la fuga e il ritorno, la rabbia, la gioia e i sogni, la trasgressione, la follia, i silenzi, la musica a palla, la notte e il giorno. La strada non è solo una lingua d'asfalto, è una bolla che ti accoglie, vive con te e ti aspetta quando non ci sei. Tutti abbiamo una strada del cuore e ogni strada ha mille e più storie da raccontare». La strada di Renato Moro, che il 10 febbraio scriveva questo post, era la statale 101 che da Lecce conduce a Gallipoli. La percorreva ogni giorno, più volte, per raggiungere Galatone e gli anziani genitori, scomparsi pochi mesi fa.
Quella stessa strada l'hanno percorsa oggi i familiari di Renato, gli amici, i colleghi di tutte le testate, per dirgli addio, partecipando alla cerimonia funebre che si è tenuta proprio nella chiesa del suo paese natale. E quelle parole sul valore della strada, quella percorsa e quella da fare, sono state il cuore dell'accorata omelia del parroco di Galatone, dove Felice e Teresa, i genitori di Renato, hanno costruito la loro vita e dove il nostro amico e caporedattore centrale di Quotidiano ha trascorso gli anni dell'infanzia e della giovinezza insieme al fratello Carlo, scomparso prematuramente.
Renato ci ha lasciati troppo presto.
Anche noi, Renato, proveremo a sognare e a scrivere una pagina nuova, senza di te, ma portandoti nel nostro cuore, come la strada maestra. La strada da seguire.