«Avevamo il "vaccino" contro l'inquinamento ma non l'abbiamo usato»

«Avevamo il "vaccino" contro l'inquinamento ma non l'abbiamo usato»
di Francesco CASULA
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Giovedì 20 Maggio 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 09:18

La Regione Puglia guidata da Nichi Vendola scelse di non seguire la strada indicata nel 2010 da Arpa contro l’Ilva. È quanto ha sostanzialmente affermato Giorgio Assennato, ex direttore generale di Arpa Puglia, imputato nel processo «ambiente svenduto». 

Il processo


Dinanzi alla corte d’assise che ieri è entrata in camera di consiglio per decidere il verdetto sul maxi processo che dovrà fare luce sul disastro ambientale e sanitario di Taranto, l’ex dg ha reso dichiarazioni spontanee con le quali ha rinunciato all’eventuale prescrizione del reato di favoreggiamento che lo vede imputato e per il quale la procura ha chiesto per lui la condanna a 1 anno di reclusione. L’accusa infatti sostiene che Assennato abbia negato le pressioni che Vendola avrebbe esercitato su di lui nel 2010 affinché avesse una linea più morbida nei confronti della fabbrica gestita allora dai Riva. Pressioni che l’ex direttore generale ha sempre escluso. E anche il 17 maggio ha ribadito che non ci fu alcuna pressione di Vendola. Questa volta, però, Assennato ha spiegato in modo netto cosa accadde in quella calda estate del 2010 quando lo stabilimento era nella bufera a causa dei livelli troppo alti di benzo(a)pirene. Ha lanciato un vero e proprio attacco alla Regione guidata allora dall’ex leader di Sinistra Ecologia e Libertà. Un’accusa che, a distanza di 11 anni, sembra far emergere una nuova verità. Assennato ha ricostruito in particolare i fatti del 15 luglio 2010 quando i vertici regionali, all’insaputa di tutti e anche dello stesso dg di Arpa, incontrarono la dirigenza Ilva. Dopo quell’incontro, secondo Assennato, l’amministrazione Vendola con l’allora assessore all’ambiente Lorenzo Nicastro avrebbe svuotato «di senso le nostre relazioni». 
Avrebbe sostanzialmente deciso di non dare seguito alla proposta di Arpa di ridurre la produzione dell’Ilva nei giorni di vento. E ai cronisti che arrivarono in Regione per la conferenza stampa convocata in tutta fretta, Assennato apparve dimesso: «Ero rassegnato non per le inesistenti pressioni, ma perché vedevo fallire il mio programma, da medico di sanità pubblica, di risanamento della qualità dell’aria dei Tamburi». 
Ma per lo stesso motivo per cui Assennato era abbattuto, l’assessore Nicastro, come emerge da articoli finiti agli atti del processo, era invece trionfante. Dinanzi ai giudici, tpgati e popolari, Assennato ha commentato: «E' come se l'autorità politica, avendo un vaccino in mano, rinunciasse a usarlo per contenere un'epidemia». Secondo Assennato, insomma, la Regione guidata allora da Vendola, avrebbe potuto attuare una soluzione efficace, ma scelse di non farlo. Preferì il monitoraggio diagnostico alla riduzione della produzione durante i wind days. Le dichiarazioni finali di Assennato confermano la sua figura particolarmente controversa all’interno del processo. Per la dirigenza era l’uomo da “distruggere” perché aveva svelato i danni causati dallo stabilimento e proposto la riduzione la produzione dell’acciaio. Per procura, come detto, Assennato è invece un fiancheggiatore Vendola quando nega le pressioni che avrebbe ricevuto proprio in quei giorni. Su tutto questo e sulla posizione di altri 46 imputati – di cui 44 persone fisiche e 3 società – dovrà decidere la Corte d’assise. Il verdetto, qualunque sarà, diventerà una pietra miliare nella storia di questa terra. Nessuno sa quanti giorni potrà durare la camera di consiglio, ma da oggi all’intera comunità ionica composta dagli abitanti del quartiere Tamburi e di tutta la città, dai lavoratori della fabbrica, dalle associazioni ambientaliste, dalle istituzioni e dagli stessi imputati, non resta che attendere.

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