«Indebite pressioni sui vertici dell'Arpa Vendola agevolò l'Ilva»

«Indebite pressioni sui vertici dell'Arpa Vendola agevolò l'Ilva»
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Mercoledì 30 Novembre 2022, 09:48 - Ultimo aggiornamento: 11:27

«Indebite pressioni» da parte dell'ex Governatore Nichi Vendola sul professore Giorgio Assennato, numero uno di Arpa Puglia. All'indomani di una relazione dell'agenzia per l'Ambiente che inchiodava la cokeria Ilva come fonte delle micidiali emissioni di benzoapirene, così importanti nel quadro dell'inquinamento di Taranto.

La condanna all'ex presidente


Questa la convinzione che ha portato la Corte d'Assise del processo Ambiente svenduto a infliggere tre anni e mezzo all'ex presidente della Regione accusato di concussione aggravata.

Una tesi che i magistrati hanno spiegato lungamente nel capitolo dei 15 della motivazione, dedicato ai reati contro la pubblica amministrazione. Centinaia di pagine infarcite di verbali di udienza e di intercettazioni per spiegare la contestazione che si ritiene provata.

Il racconto rovente


Ne emerge un racconto rovente della caldissima estate del 2010, quando l'Arpa affidò una relazione le conclusioni sul massiccio inquinamento da benzoapirene della città. Il 21 giugno in quel documento si condannavano le cokerie della grande fabbrica, indicate come il cannone che sparava la micidiale sostanza cancerogena sui tarantini. Una sentenza in cui si prospettavano, si legge nella motivazione «soluzione antitetiche rispetto agli interessi economici dell'azienda, anteponendo la tutela della salute e dell'ambiente alle problematiche imprenditoriali tanto da prospettare una diretta incidenza sui livelli produttivi e di conseguenza sugli utili».
Quella relazione suscitò la veemente reazione dell'Ilva targata Riva. Una vera e propria offensiva, secondo la Corte, affidata al fido Girolamo Archinà e con bersaglio proprio il professore Assennato. Da quel momento sarebbe partita una vera e propria strategia per frantumare il professore, come si legge in un verbale di intercettazione, definito delicatamente un matto.
Sponda di quell'iniziativa, spiegano i giudici, sarebbe stata anche il presidente Vendola.

La prova


La prova, a giudizio della Corte, risiede nella disponibilità che viene desunta dall'incrocio delle tante telefonate, tutte intercettate, di quei giorni tra i vertici aziendali. Ma anche da una dialogo telefonico tra lo stesso Vendola e l'onnipresente Archinà. È il 6 luglio, infatti, quando è l'ex Governatore, pochi minuti dopo le 22, a spiegare al telefono all'eminenza grigia dei Riva che «il presidente non si è defilato». Un messaggio chiaro, a giudizio della Corte, della dissonanza tra quanto indicato da Arpa e il pensiero del numero uno della Regione.
Di quella intercettazione ritenuta chiave, scrivono i giudici, a colpire è anche «il tenore del dialogo che denota una confidenzialità e una sintonia davvero singolari». Riflessioni che si rispecchiano nelle parole con le quali lo stesso Fabio Riva, in un altro dialogo, non esitava a sentenziare «che Vendola ad Archinà gli vuole bene eh! Io l'ho visto eh».
Al di là dell'empatia, però, secondo la Corte, intercettazioni e elementi di fatto spiegano come in quel periodo Assennato sarebbe stato al centro di pressioni, finalizzate a far comprendere al numero uno di Arpa, con il mandato in scadenza pochi mesi dopo, che la politica della Regione non «era quella di fare la guerra all'Ilva». Una scelta precisa che in quel frangente, a giudizio della Corte, andava a braccetto con l'obiettivo dell'ex Governatore di stabilizzare i lavoratori somministrati che rischiavano di perdere il posto di lavoro alla scadenza del loro contratto a termine. Una lettura che la Corte ha ancorato persino alla deposizione di Vendola in aula, ritenuta di carattere confessorio.

I giudici


«Il Presidente Vendola - scrivono i giudici - ha ammesso di aver concusso Assennato, spostando, semplicemente, il motivo del suo agire da una condotta meramente agevolatrice di Ilva, ad una condotta agevolatrice di Ilva al fine di tutelare i somministrati. La sua strategia, infatti, era quella di barattare la soluzione della problematica postagli da Archinà il 22 giugno con una richiesta, quella alla quale teneva molto, ossia quella di assunzione dei somministrati».
«Ed allora - si legge ancora nella motivazione - così ricostruita la vicenda, addurre a scriminante del presidente Vendola la sua politica ambientale poco serve. Richiamare le battaglie ambientaliste dallo stesso sostenute nel corso della sua carriera, le iniziative assunte a tutela dell'ambiente, davvero poco sposta in merito alla questione della concussione in danno di Assennato». E i giudici aggiungono che «il dibattimento, quindi, ha offerto pieno riscontro probatorio alla ipotesi accusatoria con ferimento alla vicenda Vendola: il Presidente della Regione Puglia cioè non solo aveva avuto plurimi contatti con i rappresentanti di vertice di Ilva, ma si era dimostrato sempre disponibile e ben predisposto ad aderire alle richieste provenienti dallo stabilimento siderurgico di Taranto, sino, invero, ad imprimere una certa direzione ai rapporti con Assennato che si era reso responsabile di non aver tenuto a bada i suoi consentendo loro di inviare la famosa nota sul benzo(a)pirene».
 

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