Ambiente Svenduto, depositata la motivazione delle condanne per disastro ambientale

La Corte d'Assise durante la lettura del verdetto
La Corte d'Assise durante la lettura del verdetto
di Mario DILIBERTO
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Martedì 29 Novembre 2022, 15:44 - Ultimo aggiornamento: 21:43

“I Riva e i loro sodali hanno posto in essere modalità gestionali illegali anche omettendo di adeguare lo stabilimento siderurgico ai sistemi minimi di ambientalizzazione e sicurezza per ovviare alle problematiche di cui avevano piena consapevolezza sin dal 1995”. Lo scrive la Corte d’Assise di Taranto, presidente Stefania D’Errico, giudice a latere Fulvia Misserini, nelle motivazioni, di oltre 3.700 pagine, della sentenza del processo Ambiente Svenduto conclusosi a fine maggio 2021 a Taranto e relativo al reato di disastro ambientale imputato alla gestione del gruppo Riva. È stata depositata, infatti, la motivazione della sentenza. Si tratta di un documento di oltre 3700 pagine. Diciotto mesi fa, la Corte di Assise ha decretato le pesanti condanne che hanno chiuso il primo grado del processo a carico della gestione dello stabilimento siderurgco Ilva targato Riva.

«Qualche tumore in più»

La frase pronunciata da Fabio Riva, ex proprietario e amministratore dell’Ilva, “qualche caso di tumore in più”, frase intercettata e inserita in un colloquio telefonico dell’industriale con un rappresentante aziendale, per la Corte d’Appello di Taranto “riassume meglio di ogni altro elemento di prova la volontarietà della condotta delittuosa posta in essere dagli imputati e anzi la consapevolezza degli effetto dell’inquinamento sulla salute della popolazione tarantina”.

Così scrive il collegio nelle motivazioni depositate oggi della sentenza del processo, chiusosi a maggio 2021, Ambiente Svenduto. Per la Corte, “la capacità di influenzare le istituzioni da parte dell’Ilva, facendo leva sul potere economico e contrattuale della grande impresa, ha reso per lungo tempo molto difficile l’accertamento dei crimini che si andavano perpetrando e, seppure non sono mancati accertamenti giudiziari passati in giudicato, che hanno offerto un preoccupante spaccato della grave situazione ambientale, per la prima volta con questo processo - argomenta la Corte d’Assise di Taranto - si è potuta cogliere una visione unitaria della gestione illecita dello stabilimento da parte della proprietà, dei vertici aziendali e dei responsabili delle varie aree e dei reparti  che compongono questa realtà industriale di enormi proporzioni, nonchè dei soggetti estranei che a vario titolo vi hanno concorso”. “Il bilancio è agghiacciante” scrive la Corte

Il verdetto

La sentenza risale al 31 maggio dello scorso anno. Quel giorno la Corte d'Assise, presieduta dal giudice Stefania D'Errico, giudice Fulvia Misserini a latere, ha chiuso il primo grado del processo nato dall'inchiesta “Ambiente svenduto”. Sotto processo, come si diceva, la gestione Ilva targata Riva, ma anche la politica accusata di aver prestato il fianco alle attività inquinanti della grande fabbrica dell'acciaio di Taranto. Un disastro ambientale punito con una condanna a tre secoli di carcere, spalmati tra i 26 imputati condannati. Su tutte spiccano quella di Fabio Riva a ventidue anni, a venti del fratello Nicola e a ventuno di Luigi Capogrosso, l'ex direttore della grande fabbrica. E in aggiunta quella a ventuno anni e mezzo di Girolamo Archinà, l'ex responsabile dei rapporti istituzionali, eminenza grigia del gruppo Riva, e a tre anni e mezzo dell'ex Governatore pugliese Nichi Vendola, sott'accusa per una ipotesi di concussione aggravata. Solo una parte del dispositivo di 83 pagine la cui lettura, quel giorno, richiese quasi due ore e impose una inedita staffetta tra i due magistrati togati della Corte d'Assise. Dopo diciotto mesi è giunta la motivazione che in queste ore viene notificata alle parti del processone nato dall'inchiesta che esplose oltre dieci anni fa con il sequestro dell'area a caldo di Ilva. Sei reparti ritenuti la fonte dell'inquinamento disastroso di Taranto. Da quel giorno, va ricordato, gli impianti dell'area a caldo non si sono mai fermati. Ora ci sono 45 giorni per proporre appello 

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