Ambiente Svenduto, la Regione presenta il conto: 30 milioni. La richiesta dei danni anche a Vendola e Pentassuglia

Ambiente Svenduto, la Regione presenta il conto: 30 milioni. La richiesta dei danni anche a Vendola e Pentassuglia
di Francesco CASULA
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Lunedì 22 Febbraio 2021, 22:13 - Ultimo aggiornamento: 23 Febbraio, 00:05

È di circa 30 milioni di euro la richiesta avanzata dalla Regione Puglia nei confronti di tutti gli imputati coinvolti nel processo “Ambiente svenduto” sull’ex Ilva di Taranto e tra questi anche l’ex governatore di Puglia Nichi Vendola e l’attuale assessore all’Agricoltura Donato Pentassuglia. Il primo, infatti, è accusato di concussione per le pressioni esercitate sull’allora direttore generale di Arpa Puglia Giorgio Assennato e per il quale la procura ionica ha chiesto una condanna a 5 anni di carcere, il secondo invece deve rispondere di favoreggiamento all’ex dirigente Ilva Girolamo Archinà e rischia una condanna a 8 mesi di reclusione. Tra gli imputati anche Nicola Fratoianni, ex assessore regionale: i pm hanno chiesto 8 mesi.

La richiesta danni formulata dall’avvocato Salvatore D’Aluiso, tuttavia, è parziale: la somma di circa 30 milioni di euro riguarda esclusivamente le spese sostenute dalla Regione per far fronte all’emergenza ambientale e sanitaria causata, secondo l’accusa, dalle emissioni nocive dello stabilimento durante gli anni della gestione Riva. A questa cifra, quindi, dovranno poi essere aggiunti, qualora la Corte lo ritenesse necessario, anche i danni di immagine e i danni morali patiti dall’ente: cifre evidentemente molto alte che saranno però concretamente stabilite in un processo civile che partirà solo se la condanna degli imputati dovesse diventare definitiva.

Ma la questione giudiziaria, nel frattempo, rischia di diventare politica. Il tarantino Pentassuglia, infatti, è come detto uno degli esponenti della giunta di Michele Emiliano e in caso di condanna l’eventuale risarcimento alla Regione scatenerebbe il cortocircuito politico. La vicenda, tuttavia, non è nuova: il coinvolgimento dell’esponente del Partito democratico nell’inchiesta risale al 2013 quando furono chiuse le indagini. Pentassuglia, insomma, è stato indagato quando era ancora assessore della giunta guidata da Vendola e quindi ben prima che Emiliano gli affidasse la delega all’Agricoltura. L’accusa nei suoi confronti è di aver negato un incontro con Archinà: un episodio ricostruito dai finanzieri di Taranto attraverso le intercettazioni telefoniche e non solo. Da quelle telefonate, infatti è emerso che nel 2010 Archinà si recò nell’ufficio di Pentassuglia a Martina Franca: in piena emergenza benzo(a)pirene, l’ex responsabile delle relazioni istituzionali dell’Ilva era impegnato nella tessitura di una rete di rapporti che servivano a screditare i risultati delle campagne effettuate dall’Arpa di Assennato.

Ignaro di essere ascoltato dalle fiamme gialle, Archinà effettuò dal suo cellulare una chiamata proprio mentre si trovava, secondo l’accusa, nell’ufficio di Pentassuglia: al suo interlocutore spiegò dove si trovava e che il suo obiettivo era “distruggere” Giorgio Assennato, nemico giurato della fabbrica. Pentassuglia ha sempre negato di aver avuto con Archinà rapporti non istituzionali, ma contro di lui ci sarebbero una serie di telefonate. Per la procura è la prova che Pentassuglia abbia negato la verità.

La sentenza della Corte d’assise, quindi, potrebbe avere indirette conseguenze sul piano politico. La Regione non è stata l’unica a chiedere i danni agli imputati nel maxi processo: dal punto di vista istituzionale sono state illustrate le richieste del comune di Montemesola, con l’avvocato Raffaella Cavalchini e di enti come Confagricoltura rappresentato dall’avvocato Donato Salinari. Durante il primo giorno in cui la parola è passata alle parti civili, sul tavolo dei giudici sono finite tante storie: quelle dei lavoratori deceduti per malattie collegate all’inquinamento, quelle degli abitanti del quartiere Tamburi, quelle delle associazioni ambientaliste. Come della 62enne uccisa da un carcinoma polmonare: per oltre 30 anni ha vissuto in via De Vincentis, a pochi metri dai parchi minerali e dalle collinette ecologiche che avrebbero dovuto proteggere gli abitanti dalle polveri e invece a distanza di decenni la procura ha sequestrato perché realizzate con scarti di produzione nocivi per la salute.

Storie di sofferenze e di danni che continueranno anche oggi e domani. Questa mattina, tra gli altri, prenderà la parola l’avvocato Rosario Orlando che rappresenta il Comune di Taranto e ha quantificato i danni subiti in 10 miliardi di euro. La stessa somma è stata chiesta dalla Provincia di Taranto che ha rischiato di veder svanire la propria costituzione: l’avvocato che aveva seguito la vicenda, infatti, ha lasciato da tempo il suo ruolo nell’ufficio legale e l’ente non aveva nominato alcun sostituto: la questione tuttavia è stata risolta negli ultimi con la nomina dell’avvocato Giuseppe Sernia.

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