Brindisi, dieci anni dopo la strage al “Morvillo”. Le amiche: «Oggi siamo mamme con Melissa sempre nel cuore»

Azzurra Camarda e Selena Greco
Azzurra Camarda e Selena Greco
di Maurizio DISTANTE
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Mercoledì 13 Aprile 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 14:34

Le cronache dell’epoca ce le hanno raccontate com’erano, un gruppo di scriccioli feriti dentro e fuori, raggomitolate l’una all’altra tra i banchi del Tribunale di Brindisi come per dare l’impressione di essere un unico corpo, per sembrare più grandi e difendersi da tutto il brutto che le circondava. Erano così: a dieci anni dall’esplosione della bomba che ha ucciso Melissa Bassi, loro coetanea e compagna, e deviato il corso delle loro vite, le ragazze del Morvillo-Falcone, le studentesse ferite nell’attentato architettato e messo in atto dall’ex imprenditore salentino Giovanni Vantaggiato, sono diventate donne anche se una parte di loro è rimasta a prima del 19 maggio 2012, quando il loro mondo era lo stesso di quello di altre milioni di ragazzine. Hanno avuto tutte un percorso simile: una casa, gli affetti e la costruzione di un futuro non semplice. Due di loro, Azzurra Camarda e Selena Greco, sono anche diventate mamme di due bellissime bambine. 

Il racconto

«Melissa ha quasi tre anni», racconta Azzurra. «Regina Melissa – le fa eco Selena – ha 18 mesi. Si chiama Regina Melissa, un unico nome, senza virgole». Al netto di appellativi regali, le due bimbe si chiamano come l’amica che ormai da 10 anni non c’è più. «Io – prosegue Azzurra – avevo il desiderio di chiamarla Melissa nel suo ricordo anche se avevo deciso insieme a mio marito Andrea che se il primo fosse stato un maschio e, magari, la femminuccia fosse arrivata più in là avrei rinunciato a quel nome. Si vede che il destino ha voluto così. Quando sarà più grande e mi chiederà perché si chiama Melissa, le racconterò la nostra storia». Selena, invece, nella testa aveva Regina fin da quando divideva le confidenze tra i banchi di scuola con le sue amiche. 
«Regina mi è sempre piaciuto: ho voluto aggiungere Melissa, senza virgola, d’accordo col mio compagno Rino, e la chiamo col suo nome completo anche se tutti la chiamano solo Regina». Se ripensano a loro stesse prima del 19 maggio di 10 anni fa, Selena e Azzurra si vedono molto diverse dalle donne che sono oggi. «Avevamo 15, 16 anni – ricordano -: mai avremmo pensato a mettere su famiglia, anzi. Vedevamo il nostro futuro pieno di viaggi, divertimento, spensieratezza. Non vedevamo l’ora di crescere per poter vivere alla grande. Melissa, invece, era la “posata” del gruppo: il suo compito era quello di farci rimanere coi piedi per terra, in equilibrio tra studio, spasso e progetti per il futuro». Futuro che gli è letteralmente esploso in faccia, senza saperne il perché, il 19 maggio 2012

«Siamo state dimenticate»

«Abbiamo ricevuto sostegno psicologico per un paio d’anni, poi nulla più. La gente si è dimenticata in fretta di noi: solo in occasione dell’anniversario della strage si organizzano qua e là commemorazioni ed eventi in memoria di Melissa ma poi tutto torna a tacere. Spesso percepiamo che la gente ci guarda con sufficienza, come se un po’ avessimo rotto con la storia dell’attentato».

La loro idea di ricordo è radicalmente diversa da quella che negli anni è andata in scena. «Avremmo voluto portare avanti, magari insieme alle associazioni che ci sono in giro, percorsi di aiuto e supporto a ragazze che hanno subìto dei traumi, ad esempio: intitolare un parco, una panchina, una piazza o una palestra a Melissa va bene ma non basta». Il legame con l’amica scomparsa è ancora forte: accompagnate dalle loro bambine, vanno a visitare la tomba della ragazza, dove spesso incontrano mamma Rita e papà Massimo, i genitori di Melissa. «Ci vado al cimitero – afferma Selena – ma non tante volte: preferisco coltivare il ricordo di Melissa con le mie azioni, anche semplicemente dando l’esempio giusto a Regina Melissa. Comunque è bello andare a trovarla».

La famiglia

Azzurra e Selena non si accontentano: da quando si sono rimesse in carreggiata, dopo aver sostenuto le cure che hanno guarito le ferite del corpo e lenito le pene dell’animo, hanno sentito l’urgenza di vivere a pieno la vita, non per modo di dire ma sul serio, cercando di dare un peso diverso alle persone e a quello che è realmente importante per loro. «Prima vivevamo alla giornata – ricorda Azzurra -: dopo l’attentato, non eravamo capaci di vedere oltre il nostro naso e la vita faceva paura». «Quando siamo ritornate alla “quasi” normalità – aggiunge Selena – abbiamo avvertito l’esigenza di programmare: ho subito avuto chiari i miei obiettivi e ho messo in cima alla lista la famiglia». Qui entrano in gioco gli affetti delle due giovani donne: Andrea, il marito di Azzurra, e Rino, il compagno di Selena. 
«Ho conosciuto Andrea qualche mese dopo l’attentato – spiega Azzurra -. All’inizio avevo paura che non riuscisse ad accettare il mio aspetto fisico, dato che le ferite erano ancora molto evidenti: Andrea, però, mi ha sempre fatta sentire amata per com’ero, dentro e fuori, e il nostro amore ci ha portato all’altare e poi ha generato il nostro capolavoro, nostra figlia». Simile ma diversa la storia di Selena e Rino. «Io e Rino stavamo già insieme quando la bomba esplose. Le mie paure, quindi, non erano tanto legate al mio aspetto quanto al mio essere: mi avrebbe amata ancora dopo quello che mi era accaduto? Avrebbe riconosciuto in me la stessa ragazza che ero prima dell’attentato?». La risposta, 10 anni e una figlia dopo, evidententemente, è sì. «Andrea e Rino – dicono all’unisono –, insieme alle nostre famiglie, ci hanno dato la forza di essere le donne che siamo oggi, ci hanno aiutato a superare le nostre paure. Senza di loro le cose sarebbero andate diversamente». 

Né rabbia, né odio

Non sono mai banali, Selena e Azzurra: hanno le idee chiare anche sull’uomo che loro malgrado ha cambiato per sempre le loro vite; non lo nominano neanche ma non provano nei suoi confronti né odio né rabbia né, tantomeno, paura. Per loro, Vantaggiato semplicemente non esiste. Sono passati 10 anni da quando tutte insieme occupavano meno della metà del bancone del tribunale, intimorite da quell’ambiente che era loro estraneo e dal trambusto che c’era tutt’intorno a loro. Lui era lì, a pochi metri e, all’epoca, paura e rabbia erano i sentimenti predominanti. «Ora ci sono Melissa e Regina Melissa, sono loro le nostre ragioni di vita: non possiamo perdere tempo prezioso a coltivare emozioni negative che, poi, potremmo riversare su di loro. Noi viviamo attraverso di loro, a loro dobbiamo tutto e vogliamo che crescano seguendo e praticando l’amore, la gentilezza e l’empatia, proprio come faceva la nostra Melissa».

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