Trattamento fine mandato, in Puglia depositate 31 richieste: anche due consiglieri in carica

Trattamento fine mandato, in Puglia depositate 31 richieste: ci sono anche un capogruppo e un assessore
Trattamento fine mandato, in Puglia depositate 31 richieste: ci sono anche un capogruppo e un assessore
di Alessio PIGNATELLI
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Martedì 12 Ottobre 2021, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 10:47

In tutto sono 31 e a innalzare ulteriori polveroni sono due tra questi che siedono ancora in via Gentile. La vicenda del Trattamento di fine mandato per i consiglieri regionali della Puglia registra un altro passaggio spinoso: 29 ex consiglieri hanno fatto richiesta di liquidazione e, insieme a loro, ce ne sarebbero due attualmente in carica. Insomma, se la norma è stata abrogata a furor di popolo dopo le polemiche, evidentemente c’è chi in realtà pretende di esercitare e riscuotere un proprio diritto. Da capire i risvolti finali di questa intricata storia che stona rispetto al clima di rigetto che si era creato attorno al ritorno dell’assegno.

Una storia intricata

È bene allora ricapitolare i passaggi principali di questa vicenda che è salita anche alla ribalta nazionale durante l’estate. Innanzitutto, una premessa. Il Tfm era stato abolito nel novembre del 2012 dal Consiglio della giunta Vendola dopo che il governo Monti varò una manovra di lacrime e sangue. Il decreto legge 174 del 2012 impose al parlamento e ai Consigli regionali italiani di abolire i vitalizi e tagliare gli stipendi: era il periodo più critico per l’Italia che sembrava addirittura rischiare il default e allora il diktat fu la spending review. Così furono eliminati i vitalizi parlamentari e quelli riservati ai consiglieri regionali, la Puglia si allineò e abolì anche l’assegno di fine mandato.

Estate 2021: il 27 luglio, durante l’ultima seduta dell’Assise e prima della pausa estiva, all’unanimità i 40 consiglieri presenti votano per riattivare l’assegno in maniera retrodatata, a partire quindi dal primo gennaio 2013. Viene stimato che la reintroduzione dell’assegno di fine mandato avrebbe pesato circa quattro milioni sul bilancio del Consiglio regionale pugliese: per incassare la propria liquidazione, occorre versare, anche retroattivamente, il contributo pari all’1% dello stipendio mensile.

Il 6 agosto, l’emendamento approvato all’unanimità dall’Aula diventa legge. Significa che i consiglieri regionali in carica dal 2010 al 2015 e dal 2015 al 2020 possono chiedere legittimamente il pagamento arretrato del Tfm per gli anni che vanno dal 2013 sino al 2020. Insomma, nessuno può impedire ai consiglieri di incassare quello che è un loro diritto.

La mossa non passa sotto traccia. E crea tensioni e malumori tra partiti che si accusano vicendevolmente. Si ipotizza una modifica, una diversa soglia di accantonamento per i singoli titolari di scranno. Anche i leader nazionale intervengono sull’argomento e lo stesso presidente della Regione, Michele Emiliano, a più riprese sottolinea l’inopportunità di questo “ritorno”. Il terreno è minato e impone una sorta di marcia indietro. Che si materializza il 21 settembre: all’unanimità il Consiglio regionale pugliese, dopo una lunga discussione in Aula, approva l’emendamento presentato dal centrodestra per abrogare il Trattamento di fine mandato. Votano a favore tutti i 34 consiglieri presenti.

Solo che tra approvazione della norma che ha reintrodotto il Tfm ed emendamento abrogativo della stessa, c’è chi legittimamente ha presentato il conto. Due richieste sarebbero state addirittura depositate il 22 settembre, ossia il giorno successivo alla cancellazione che però diviene effettiva solo il giorno della pubblicazione sul bollettino regionale. Non solo. Per com’è scritta, l’abrogazione del Tfm prevede anche la retroattività: l’assegno di fine mandato dovrebbe essere negato anche a chi ha depositato già la richiesta. Ma qui si entra in un altro campo con possibili, ulteriori, colpi di scena e guerre di carte bollate visto che c’è chi solleva dubbi sulla costituzionalità e su diritti soggettivi maturati.

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