Tutti saranno distanziati, indosseranno la mascherina e resteranno in silenzio e in cerchio ad osservare il centro della piazza occupato da una cinquantina di tovaglie, appoggiate a terra e da piatti e stoviglie rovesciati in segno di protesta, ma pacifica. «Non ci saranno slogan violenti» assicurano gli organizzatori. Per questo i manifestanti non supereranno le 200 unità, anche se si stima arriveranno gruppi da ogni parte della Regione. Anche la Fipe, Associazione dei pubblici esercizi e ristoratori Confcommercio Bari-BAT scenderà in piazza questa mattina, a partire dalle 11.30 in Largo Giannella (e in contemporanea in altre 20 piazze italiane), per ricordare l'importante valore economico e sociale della categoria e per chiedere alla politica azioni importanti a sostegno delle attività duramente colpite dalla pandemia, soprattutto alla luce delle nuove disposizioni che impongono la chiusura alle 18, oltre ad altre importanti limitazioni che, di fatto, impediscono alle attività di andare avanti.
In Puglia si contano circa 20mila pubblici esercizi, tra bar, ristoranti, catering, stabilimenti balneari, locali da ballo, che soffriranno - oltre a quanto già patito a primavera - a causa delle ultime limitazioni previste dal Dpcm licenziato domenica a mezzogiorno. Con la manifestazione di oggi si vuole chiedere alla politica di intervenire in maniera decisa e concreta per salvaguardare un tessuto di 340mila imprese che prima del Covid-19, nel Paese, generava un fatturato di oltre 90 miliardi di euro ogni anno.
«La nostra categoria sta vivendo un momento davvero drammatico commenta Dino Saulle, presidente Fipe provinciale per i ristoratori -. Un momento terribile per il Paese e per il mondo intero, ma questo non deve distoglierci dalle conseguenze devastanti che l'emergenza coronavirus sta causando alle nostre attività. Le misure imposte per contrastarlo sono inaccettabili. Siamo stati presenti sui tavoli di lavoro fin dai primi istanti di questa crisi, abbiamo contribuito a stilare i protocolli per la riapertura, cercando di salvare quanto più possibile. Ad oggi le prospettive sono ancora più pesanti. Al governo chiediamo aiuto economico a fondo perduto».
Secondo i titolari dei pubblici esercizi le disposizioni del governo non prendono in considerazione il loro lavoro e i loro sacrifici. La chiusura alle 18 significa per buona parte del comparto non continuare ad aprire. La manifestazione nasce per far sì che istituzioni e opinione pubblica prendano coscienza che la disperazione delle imprese è giunta al culmine. «È una situazione davvero difficile. Con questa iniziativa come sottolineato dai vertici nazionali vogliamo ricordare i valori economici e sociali della categoria, che occupa oltre un milione e duecentomila addetti e chiedere alla politica di intervenire in maniera decisa e concreta per salvaguardare un tessuto di 340mila imprese che prima del Covid-19, nel nostro paese generava un fatturato di oltre 90 miliardi di euro ogni anno.
Dal presidente Pertuso anche l'invito «alla cautela e a smorzare questa forma di terrorismo psicologico perpetuato quotidianamente. D'altronde se dobbiamo provare a convivere con questo virus non possiamo fare diversamente. Scendiamo in piazza, e simbolicamente stenderemo a terra le nostre tovaglie, per dimostrare lo stato in cui versano le nostre attività. Chiederemo a gran voce in prima battuta di modificare il Dpcm, spostando l'orario di chiusura alle 24, tanto il sabato sera le persone usciranno sempre e se non andranno nei locali si raduneranno da qualche altra parte con tutte le conseguenze per il rischio del contagio, mentre nei locali è tutto sotto controllo. In seconda battuta, chiediamo ristori immediati e soprattutto adeguati. Il nostro comparto realizza numeri davvero importanti per l'economia del Paese, siamo stanchi di essere trattati sempre come la Cenerentola di tutte le categorie. Perché i grossi centri commerciali non chiudono? E nemmeno i grossi gruppi industriali o dell'edilizia?. A noi, invece, viene chiesto questo grande sacrificio».