Otranto, le motivazioni della sentenza Twiga: «Un progetto invasivo, su un tratto di costa fragile»

Ciò che resta del Twiga a Otranto
Ciò che resta del Twiga a Otranto
di Roberta GRASSI
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Martedì 20 Settembre 2022, 18:52 - Ultimo aggiornamento: 21 Settembre, 18:08

Un intervento “invasivo” su un «sistema costiero fragile». Con corredo di attestazioni false, secondo il Tribunale, avallate dal progettista Pierpaolo Cariddi, poi sindaco di Otranto. Sono state depositate le motivazioni della sentenza di condanna del processo “Twiga”. Si parla solo dell’insediamento in località Cerra e delle irregolarità che sono state anche oggetto di un sopralluogo dei giudici, nell’aprile scorso. Ma si tratta, comunque, di un tassello più volte citato nell’inchiesta che ha portato in carcere il sindaco dimissionario e il fratello Luciano, e ai domiciliari 8 persone, tra cui alcuni imprenditori (incluso Raffaele De Santis), che avrebbero fatto parte di un vero e proprio “sistema di potere”, un meccanismo di presunti favori concessi dalla pubblica amministrazione in cambio di consenso elettorale o altri vantaggi.

Le motivazioni

Queste le condanne inflitte all’incirca due settimane fa.

Per il sindaco di Otranto, l’ingegnere Pierpaolo Cariddi, imputato nelle vesti di progettista: 3 anni e 9 mesi; Raffaele De Santis, di Otranto, presidente di Federalberghi di Lecce: 3 anni e 3 mesi, nel ruolo di amministratore della società Cerra a cui furono concessi i permessi di costruire. Infine quattro anni di reclusione sono stati inflitti all’ingegnere Emanuele Maggiulli, di Muro Leccese, ex dirigente dell’Ufficio Tecnico comunale di Otranto. I giudici Pietro Baffa (presidente), Valeria Fedele e Roberta Maggio, condividendo la richiesta del pm Alessandro Prontera, hanno anche disposto a confisca della struttura sequestrata il 15 maggio 2017, uno stabilimento balneare (con piscina e ristorante) che prometteva con l’inaugurazione del 30 giugno 2017 lo sbarco ad Otranto dell’imprenditore turistico Flavio Briatore.

«La funzione intrinseca del complesso edilizio, comprendente tra l’altro un ristorante, una piscina, nonché ambienti che avrebbero dovuto ospitare serate danzanti - si legge nelle motivazioni - è inconciliabile con un asserito utilizzo contingente e temporaneo di un sistema costiero fragile, che verrebbe irrimediabilmente compromesso da un presagibile carico antropico di vasta portata». Allora come è possibile che fosse in cantiere? Secondo i giudici: «Tutti i dati progettuali riportati nella documentazione presentata ai fini del rilascio del titolo abilitativo, nonché la stessa dichiarazione di conformità del progetto agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi, sono viziati da una rappresentazione non veritiera stante la totale assenza dei presupposti che consentissero l’intervento». E poi ancora: «Sia Cariddi, sia Maggiulli, manipolavano dolosamente la realtà fattuale, dichiarando il falso».

Del resto l’area, come confermato in aula da un geologo: «Ha una valenza ambientale e paesaggistica inequiparabile, di straordinaria bellezza, e va completamente protetta». Una zona di «importantissima particolarità geologica» per via di aspetti che «testimoniano la fase glaciale presente lungo la costa che ha creato delle vaschette di corrosione uniche al mondo». I reati contestati a vario titolo erano concorso in falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici per Cariddi e Maggiulli, abuso di ufficio per tutti. I reati edilizi e le contestazioni di occupazione abusiva di demanio si sono prescritti. Le difese, sostenute dagli avvocati Antonio Quinto, Gianluca D’Oria, Antonio De Mauro, Andrea Sticchi Damiani, Adriano Tolomeo impugneranno la sentenza.

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