Inchiesta Otranto, parlano i fratelli Cariddi: «Noi in esilio, non siamo terroristi»

Inchiesta Otranto, parlano i fratelli Cariddi: «Noi in esilio, non siamo terroristi»
di Roberta GRASSI
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Mercoledì 26 Aprile 2023, 16:29 - Ultimo aggiornamento: 27 Aprile, 21:48

«Noi, esiliati dalla nostra Otranto, non siamo terroristi e non abbiamo mai fatto del male a nessuno». Rompono il silenzio, per la prima volta dal settembre 2022, quando furono arrestati e portati in carcere, i fratelli Pierpaolo e Luciano Cariddi, ritenuti il perno attorno a cui ruota il maxi procedimento su presunti favori in cambio di sostegno elettorale, il cosiddetto sistema Otranto. 

L'udienza preliminare

Nel corso dell'udienza preliminare (che riguarda in tutto 60 persone), i due ex sindaci di Otranto hanno depositato uno scritto, che ha il valore di dichiarazioni spontanee. Lo hanno fatto per il tramite dei rispettivi legali, Gianluca D'Oria e Alessandro Dello Russo per Pierpaolo Cariddi, Michele Laforgia e Viola Messa per Luciano. Una sola nota, firmata da entrambi. Riguardo al resto, il procuratore aggiunto Elsa Valeria Mignone e la pm Giorgia Villa, hanno ribadito la posizione dell'accusa: rinvio a giudizio per tutti, tranne che per due imputate, per cui è stato chiesto il proscioglimento.

Hanno discusso gli avvocati di parte civile e poi i primi difensori del lungo elenco. Sono state rigettate dal gup Alessandra Sermarini tutte le eccezioni riguardanti l'ammissione delle parti civili (Comune di Otranto, assistito dall'avvocato Domenico Attanasi; Provincia di Lecce, assistita dall'avvocato Maria Amato; Regione Puglia difesa dall'avvocato Daniela Limongelli). Hanno invocato il non luogo a procedere per i propri assistiti, al momento, gli avvocati Antonio Quinto, Gianluca D'Oria, Viola Messa e Carlo Viva.  Si tornerà in aula il 5 maggio. 

«Negata la possibilità di mantenere le nostre famiglie»

«Siamo sottoposti da più di sette mesi a misure restrittive della nostra libertà personale. Abbiamo subito oltre tre mesi di custodia cautelare in carcere - scrivono i fratelli Cariddi-  altri due mesi e mezzo agli arresti domiciliari, con divieto assoluto di comunicare con l’esterno, e siamo tuttora esiliati dalla nostra città, Otranto. Ci è stato persino negato di raggiungere il nostro luogo di lavoro e di poter mantenere le nostre famiglie. Per una parte della magistratura leccese siamo così pericolosi da non poter mettere piede nel nostro Comune di residenza».

«Mai presa una tangente, non ci siamo arricchiti»

«Eppure, non siamo terroristi  - aggiungono - e non abbiamo fatto mai male a nessuno. Il delitto per il quale siamo puniti anticipatamente è quello di aver preso parte alla vita pubblica di Otranto, la nostra colpa è di essere stati scelti, dai cittadini, come sindaci. Nei provvedimenti giudiziari è scritto che per questo avremmo promosso, costituito e organizzato una associazione per delinquere e commesso una lunga serie di reati contro la pubblica amministrazione. Per i pubblici ministeri, avremmo coltivato interessi privati e non quelli della collettività. Lo dicono dopo averci sottoposto a una lunghissima indagine, esaminato centinaia di atti amministrativi e ascoltato tutte le nostre conversazioni, ma senza contestarci neppure un euro di “tangente”. In questi anni noi non ci siamo arricchiti, mentre Otranto è diventata una città più bella e più ricca. Lo riconoscono tutti, anche i nostri avversari politici».

«Siamo innocenti»

«Ribadiamo, con forza, di non aver mai commesso alcun illecito - concludono -  e di avere sempre agito nel rispetto della legge e nell’interesse dei cittadini. Sappiamo che la nostra ostinazione nel professarci innocenti suona oltraggiosa per chi ci accusa con tanta veemenza, ma anche se oggi la nostra voce è flebile e inascoltata, siamo certi che nel processo emergerà l’infondatezza di tutte le imputazioni. Perché la verità è più forte di qualsiasi potere. È dunque proprio per il rispetto che si deve alla funzione giudiziaria che abbiamo chiesto ai nostri difensori di superare rapidamente la fase dell’udienza preliminare – in cui la nostra posizione dovrebbe essere discussa per prima e in un’unica udienza, contro ogni logica – per essere giudicati al più presto, nel pieno contraddittorio delle  parti, davanti a un giudice terzo e imparziale. Per poter provare, finalmente in posizione di parità con i nostri accusatori, che i fatti che ci vengono addebitati non sussistono. Nella speranza di poterlo fare, finalmente, da uomini liberi».

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