Preridotto, la svolta dell'ex Ilva di Taranto avvolta dai dubbi

Una veduta del siderurgico
Una veduta del siderurgico
di Domenico PALMIOTTI
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Lunedì 17 Luglio 2023, 06:00

Incertezza sui fondi (Pnrr o coesione?) e sulle regole, cioè le modifiche concordate dal Governo con la Ue per 10 dei 27 obiettivi da centrare per ricevere da Bruxelles la quarta rata del Pnrr. E ancora, clima non proprio collaborativo tra chi deve costruire e gestire l’impianto (la società pubblica Dri d’Italia) e chi (Acciaierie d’Italia, ex Ilva di Taranto) deve usare il preridotto di ferro per alimentare i nuovi forni elettrici, decarbonizzare la produzione di acciaio e ridurre le emissioni inquinanti.

La svolta?

Il Dri, sigla tecnica di Direct reduced iron, dovrebbe essere la svolta della siderurgia a Taranto, ma intanto rischia di avere più di un inciampo. Che il Governo stesse vagliando la possibilità di trasferire dal Pnrr al fondo di coesione il miliardo di euro assegnato a Dri d’Italia per l’impianto dell’ex Ilva, è storia nota da almeno un mese. Anche il ministero dell’Ambiente ha confermato che in materia si sta facendo un ragionamento. Così come sono note le proteste che il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, ha espresso al ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, circa il possibile cambio di finanziamento. 
Il preridotto non si fa più? La decarbonizzazione sfuma? Per il Governo non è così. Mettere il miliardo sul fondo di coesione svincolandolo dal Pnrr, per l’Esecutivo significa avere una garanzia in più sulla realizzazione del progetto in quanto la coesione non ha un orizzontale temporale stretto come il Pnrr che scade nel 2026. E considerato che l’appalto da parte di Dri d’Italia deve ancora partire, che Acciaierie d’Italia, con l’ad Lucia Morselli che ha rivendicato voce in capitolo e la gestione dell’impianto, è entrata di in conflitto con la stessa Dri d’Italia, e che imprevisti e ostacoli sono sempre in agguato, forse non è sbagliato cautelarsi con più tempo a disposizione.

I tempi e le polemiche

Ma se questa è la tesi del Governo, c’è anche chi teme che, allentando sui tempi e togliendo il vincolo di giugno 2026 del Pnrr, l’impianto per la decarbonizzazione rischia di essere rinviato chissà a quando. Secondo Francesco Boccia, capogruppo Pd al Senato, “si trattava di un progetto distintivo di una nuova fase per la siderurgia italiana ma soprattutto per la città di Taranto. Fermarlo - prosegue Boccia - significa umiliare un’intera coùmunità e soprattutto rimettere indietro le lancette della storia industriale. Nel nostro continente la sola produzione di acciaio è responsabile del 5% delle emissioni a effetto serra. Cancellare questo progetto significherebbe condannare qualsiasi possibilità di ripresa per l’azienda e mettere a rischio migliaia di posti di lavoro con conseguenze economiche e sociali, come sulla salute dei tarantini, devastanti”.

La tecnologia


Ma non è tutto. Nei giorni scorsi si è aggiunta la modifica che per la parte “hard to abate” il Governo ha concordato con Bruxelles rivisitando 10 dei 27 obiettivi della quarta rata del Pnrr. La modifica prevede che l’idrogeno da usare nella preriduzione del ferro non dovrà più derivare dal gas naturale. Solo idrogeno verde quindi. Tuttavia è noto che in attesa di avere a regime l’idrogeno, la preriduzione dovrà essere fatta col gas almeno per una fase iniziale. E allora, con questa variazione, cosa cambia per i due impianti Dri in corsa, quello per l’ex Ilva e quello per i privati, anch’esso di base a Taranto?
Fonti tecniche interpellate da  Quotidiano  dicono che per l’impianto di AdI, questo “non è imposto e in ogni caso non si possono cambiare le regole quando l’attività è già iniziata”.

In particolare, si spiega, per “il modulo di AdI si indica che è consigliabile la sostituzione di parte del gas naturale con l’idrogeno, mentre per quello degli acciaieri privati è imposto che il 10 per cento del gas naturale venga sostituito con l’idrogeno”. “Nell’ipotesi in cui fosse vero che tutta la riduzione del ferro dovrà avvenire con l’idrogeno, questo - aggiungono le fonti tecniche consultate - significa raccontare la favola dell’inesistente. Già oggi, infatti, è arduo reperire il 10 per cento dell’idrogeno verde generato da elettrolisi e fonti rinnovabili. Non ce n’è fisicamente. Vorrebbe dire che si è varato un progetto irrealizzabile perché è impossibile avere la quantità di idrogeno necessaria alle attività”. “In Puglia - si aggiunge -, al di là del polo dell’idrogeno verde messo in campo, e che per per le quantità sarà scarso rispetto alle necessità, altro non c’è. E dunque, che senso ha lanciare gare per finanziamenti irrealizzabili?” A ciò si aggiunga che “il processo per l’idrogeno è agli inizi e ancora non si sa quanto l’idrogeno costerà, fattore certo non secondario”.

Il progetto di Taranto


A proposito dei due impianti di preridotto, per quello del siderurgico che sarà ubicato nella fabbrica, Dri d’Italia sta lavorando sulla scelta di investimento con i due soggetti individuati: Energy Iron (Danieli e Denova) e Midrex (SMS e Paul Wurth). Franco Bernabè, presidente di Dri d’Italia, ha annunciato per luglio la scelta e per settembre la definizione del contratto. Bisogna vedere se questo timing sarà rispettato. Per il modulo della siderurgia privata, il consorzio ad hoc ha inviato al commissario della Zes Ionica, Floriana Gallucci, una lettera di intenti che è stata accettata. Sarà sciolta entro il 31 dicembre, una volta che il consorzio avrà conosciuto l’esito del bando di finanziamento pubblico a cui si è candidato per ottenere un miliardo per il proprio impianto. Alla Zes è stata chiesta un’area di 20 ettari. Entrambi i moduli avranno una produzione di preridotto di 2,5 milioni di tonnellate. 

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