La decarbonizzazione dell’acciaio è importante, è necessaria, è una strada obbligata, ma costa. E se costa, lo Stato non può tirarsi indietro. Senza giri di parole, Lucia Morselli, amministratore delegato di Acciaierie d’Italia, ex Ilva va subito al nocciolo della questione.
Interviene, l’ad, ad un seminario dell’azienda, svoltosi ieri in fabbrica a Taranto, con la presenza di una serie di società impegnate sul fronte dell’acciaio green: Nextchem, Ori Martin, Paul Wurth, Stellantis, Technip Energies Italia e Tenova. Ma ci sono anche Eurofer, l’associazione europea degli acciaieri, e l’Ordine degli ingegneri di Taranto.
Le parole
Le parole della Morselli si calano perfettamente nel contesto attuale della società dove il Governo attende l’assemblea dei soci di Acciaierie del 23 novembre per capire se il privato Arcelor Mittal mette o non mette mano al portafogli e i sindacati protestano (è in arrivo lo sciopero entro il 23 e ieri ci sono state proteste a Genova) perché senza un impegno corrispondente del privato, lo Stato non può continuare a sostenere un’azienda dove Mittal è in maggioranza. Morselli - che interviene a metà mattinata - alza l’asticella e sottolinea che se si vuole andare oltre i 2 milioni di tonnellate di acciaio green, quanti l’ex Ilva ne dovrebbe produrre in futuro con i forni elettrici, lo Stato serve.
La doppia sostenibilità
Nella decarbonizzazione, argomenta l’ad, «la parte scientifica ed economica devono andare in parallelo». Serve quindi una doppia sostenibilità del processo: economica e ambientale. «Ci sono dei Paesi, Francia e Germania - prosegue l’ad -, che stanno dando risposte alla mia domanda: chi paga il conto? In questi Paesi non è una risposta definitiva ma ci sono delle indicazioni abbastanza precise su chi pagherà il conto. Dobbiamo fare lo stesso. Io non credo molto all’Europa, anche perché non si vede. O perlomeno non la vedo e non riesco a crederci. Poi magari sono io che non la vedo. Se c’è, ci dica qualcosa. Per ora non ci ha detto niente. Allora penso - aggiunge l’ad di Acciaierie - che gli Stati, come accade in grandi Stati europei, debbano intervenire e anche l’Italia deve fare il suo ruolo, altrimenti le decarbonizzazioni si fanno scientificamente perfette ma sono piccole piccole. Sono dei microbi. Sono quasi come il mezzo milione di tonnellate di produzione di qualche impianto, ma rimangono così. Noi - sostiene l’ad - abbiamo l’obiettivo di arrivare a 2 milioni. Ma temo che si arrivi poi lì e basta - prosegue - perché se questi 2 milioni non dovessero ripagarsi, il processo finale di conversione all’idrogeno, quello del 2050, potrebbe avere qualche problema».
Secondo Morselli «il processo scientifico e tecnologico credo che sia ormai molto solido. C’è un leit motiv comune. Noi operatori economici dobbiamo lavorare perché venga risolto il problema del finanziamento di questi sforzi». Conclude Morselli: «Quando si fanno queste rivoluzioni e credo che la produzione di acciaio sia riconosciuta come un delle più grandi rivoluzioni mondiali, forse confrontabile a quella dell’elettricità, bisogna che questo livello di rivoluzione sia voluto, sostenuto, dalle grandi istituzioni. Non si possono fare queste rivoluzioni senza la potenza, la determinazione e anche, lasciatemi dire, la semplicità operativa di un potere forte come quello delle istituzioni».
La replica della Fiom Cgil
«Il convegno sulla decarbonizzazione organizzato da AdI crediamo che sia più un modo per continuare a chiedere soldi pubblici, piuttosto che per affrontare la questione della transizione ecologica. La transizione non può ricadere sui lavoratori», replica a stretto giro la Fiom Cgil col coordinatore nazionale siderurgia, Loris Scarpa, e il segretario di Taranto, Francesco Brigati. Secondo la Fiom, la «transizione ecologica non può avere luogo se prima non si interviene attraverso investimenti che rilancino la produzione di acciaio e crediamo che l’attuale management di Arcelor Mittal abbia ampiamente dimostrato di non avere nessuna intenzione di fare degli investimenti sui siti dell’ex Ilva».