Bari e l'accoglienza: vivere a braccia aperte nel segno del dialogo

Bari e l'accoglienza: vivere a braccia aperte nel segno del dialogo
Bari e l'accoglienza: vivere a braccia aperte nel segno del dialogo
di Paola ANCORA
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Venerdì 20 Ottobre 2023, 07:04

Vlora, Peluso, Rhapsody. Migliaia di volti a bordo di navi e traghetti più o meno malandati. Il loro approdo di speranza è sempre stato Bari, la città che vive a braccia aperte. La Vlora era un vecchio mercantile costruito a Genova e poi divenuto un pezzo pregiato della flotta albanese. L’8 agosto del 1991 arrivò al molo di Bari strabordante di profughi. Attraccò alla cieca: i radar erano coperti dal vociare incessante, dalle urla di gioia e dal pianto di ventimila persone, forse qualcuna meno.

Uomini, donne e bambini in quel sabato estivo apparvero all’orizzonte della città che li accolse come figli suoi. San Nicola, del resto, veglia e protegge Bari da oltre un millennio ed è il Santo protettore dei bambini, non a caso venerato dai cattolici e dagli ortodossi insieme. 

Lo stesso che nel 2017 ha allungato la sua mano sul porto preparando la città ad accogliere altri 248 migranti a bordo della Peluso, la nave della Guardia costiera dirottata in Puglia dalla Sicilia, dov’era in corso il G7. I baresi ingaggiarono una vera e propria gara di solidarietà, donando indumenti, cibo e beni di prima necessità. E poi, nel 2020, l’attracco del traghetto Rhapsody con altri 850 migranti a bordo. Nordafricani, tunisini, marocchini ed egiziani qui si rifocillarono e poi ripresero la strada verso il loro futuro, in cerca di migliori fortune. 

L'accoglienza

I baresi seppero dare, in ciascuna di quelle occasioni, una straordinaria dimostrazione di tolleranza, di accoglienza, di rispetto - come direbbe lo storico Todorov - per le tradizioni e le culture “altre”. E non può che cominciare da qui il racconto di Bari, città di dialogo e di pace in un momento storico che, guardando a Oriente dal lungomare punteggiato di luci, anela alla pace più che mai. Un altro conflitto, un’altra strage di innocenti si consuma stavolta sulle sponde del Mediterraneo. 
Infinite le preghiere che la città ha sussurrato lungo il dedalo delle sue strade vecchie, consumate dal passo sbilenco dei pescatori perché portassero la pace appena fuori dai confini dell’Europa, in Ucraina, allo scoppio della guerra con la Russia di Putin. Fu proprio dall’altare della basilica di Bari, divenuto ponte ideale fra la Chiesa d’Oriente e quella d’Occidente, che il cardinale Matteo Zuppi recitò la sua preghiera e il suo monito: «Smettiamo combattimenti che portano solo alla distruzione – ammonì il capo della Cei - la pace non è sogno, è l’unica via per vivere. È la scelta, non una scelta».
Una città che ha vissuto sempre all’incrocio dei venti e ha saputo crescere, coltivare l’inclusione, diventare una metropoli aperta al mondo, scrollarsi di dosso l’immagine esclusva di centro produttivo e industriale - che pure è rimasta - per indossare l’abito elegante della città turistica. Sempre restando fedele a se stessa e al suo spirito d’accoglienza, a quel mare che, nel corso dei secoli, le ha portato dominatori, fratelli, amici, culture e lingue diverse. 
A Bari l’accoglienza è ormai questione di scienza, di patrimonio genetico, sottratta agli usurati manuali della retorica culturale e politica. Al punto che il Comune sarà risarcito per le «condizioni disumane nelle quali vivevano i migranti ospiti del Centro migranti». Così ha stabilito una manciata di settimane fa la Cassazione, sottolineando come sia stata lesa l’identità stessa di una città fondata su principi solidaristici e di accoglienza, gli stessi principi predicati da San Nicola e poi impressi, nero su bianco, nello Statuto comunale. La comunità di Bari, per i giudici della Suprema Corte, è «capace di accoglienza, consacrata nella secolare storia di dominazioni straniere e di intrecci di culture religiose e laiche, di rapporto con l’Est Europa ed il Mediterraneo». 
Una città accogliente perché colta - e il cerchio si chiude - mai ottusa, mai ripiegata su se stessa. Bari ha aperto le braccia non solo ai poveri e ai diseredati in fuga dalla guerra e dalla miserie, ma le ha aperte alla cultura, coltivando il sapere e il talento, la musica e il diritto. Gino Giugni, Aldo Moro e Franco Cassano fra i tanti intellettuali che hanno insegnato nell’università barese oggi intitolata proprio all’ex presidente della Dc. E poi, solo per fare qualche nome, il compositore Niccolò Piccinni e Domenico Modugno, che era della vicinissima Polignano, ma la cui voce risuona ancora a ricordarci che a Bari hanno donato il mare. E lei, ancora oggi, lo ripaga con l’amore. 

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