Primo Maggio di speranza, disoccupazione in calo: ai minimi da cinque anni. Ma resta il nodo del precariato. I numeri di Aforisma

Primo Maggio di speranza, disoccupazione in calo: ai minimi da cinque anni. Ma resta il nodo del precariato. I numeri di Aforisma
di Maurizio TARANTINO
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Domenica 30 Aprile 2023, 11:48 - Ultimo aggiornamento: 17:46

Cresce il numero degli occupati in Puglia. E cala, contestualmente, la percentuale di chi è ancora senza lavoro raggiungendo il minimo degli ultimi cinque anni. Segnali di speranza, alla vigilia del Primo maggio. Mentre dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella (durante una visita al distretto industriale di Meccatronica a Reggio Emilia) arriva un monito: «L'unità del Paese significa unità sostanziale sul piano delle opportunità del lavoro. Significa impegno per rimuovere le disuguaglianze territoriali. Presidiare e promuovere l' unità nazionale significa anche questo». Al contempo l'occupazione in Puglia cresce.

I dati di Aforisma

I dati si riferiscono al 2022 ed emergono dal nuovo studio condotto dall'Osservatorio economico Aforisma, diretto da Davide Stasi. Alla vigilia del 1° Maggio quindi una buona notizia: l'aumento del numero degli occupati di ben 60mila unità (da un milione e 207mila a un milione e 267mila) si associa alla riduzione del numero dei disoccupati di 31mila unità (da 205mila a 174mila) e di quello degli inattivi di 49mila unità (da un milione e 140mila a un milione e 91mila). Il tasso di occupazione (forbice 15-64 anni) sale dal 54,8% al 56,3; mentre quello di disoccupazione scende dal 14,8% al 12,3 e quello di inattività (forbice 15-64 anni) dal 45,2 al 43,7%.
Rispetto al 2021, la diminuzione percentuale più consistente dei disoccupati è avvenuta nella provincia di Foggia (-5,1%), seguita dalla Bat (-4,6%) quindi dal Brindisino (-2,7%), dal Salento (2,6%) e, a chiudere, la provincia di Taranto (-1,7%) e il Barese (-0,9%).

Anche per quanto riguarda l'accresciuta occupazione, diversa è la distribuzione nelle province, differenze legate anche una diversificata vocazione territoriale: nel Barese risultano 426mila occupati (274mila uomini e 152mila donne), seguito dal Salento dove se ne contano 244mila (147mila uomini e 97mila donne), dalla Capitanata dove sono 175mila (114mila uomini e 61mila donne), quindi il Tarantino con 162mila (109mila donne e 53mila uomini), il Brindisino che ne ha 140mila (84mila uomini e 56mila donne) e infine la Bat dove gli impiegati sono 121mila (85mila uomini e 56mila donne).

Le categorie


Netta prevalenza in Puglia dei dipendenti rispetto agli indipendenti (gli imprenditori individuali, i liberi professionisti e i lavoratori autonomi, i familiari coadiuvanti, i professionisti che partecipano a studi associati): sono 965mila, pari al 76% degli occupati, mentre gli indipendenti sono 301mila (cioè il 24%). La maggior parte degli occupati lavora nel settore dei servizi (679mila); segue il commercio (193mila); l'industria (182mila), l'agricoltura (108mila) e le costruzioni (104mila). Nel dettaglio, sono 236mila gli impiegati nei servizi nel Barese, 137mila in provincia di Lecce, 93mila nel Foggiano, seguita da Taranto che ne conta 82mila, quindi Brindisi con 73mila e infine la Bat con 58mila. Addetti all'agricoltura prevalenti a Bari (24mila), Taranto (20mila) e a Lecce (19mila), mentre dopo Bari (67mila) è Lecce a segnare il maggior numero di impiegati nel commercio (39mila).


«Si tratta - spiega Davide Stasi - di dati positivi che, però, non si traducono in un miglioramento dei livelli di benessere della nostra società. Anzi, spesso celano situazioni di precariato e sfruttamento. Per questo risulta importante affrontare il tema della giusta retribuzione e salario minimo vista la mancata estensione nei confronti di tutti i lavoratori appartenenti alla medesima categoria dell'efficacia dei contratti collettivi e una proliferazione degli stessi».

Il contratto nazionale 


Secondo l'ultimo Rapporto sul mercato del lavoro e la contrattazione collettiva del Cnel risultano depositati in archivio 946 Ccnl per i lavoratori dipendenti nel settore privato, 18 Ccnl per i lavoratori dipendenti nel settore pubblico, 12 Ccnl per i lavoratori parasubordinati e collaboratori, 31 accordi economici collettivi stipulati per alcune categorie di lavoratori autonomi secondo i dati aggiornati al 7 novembre scorso. «Sotto il primo profilo - fa notare Stasi - alla mancanza di una efficacia generalizzata dei contratti collettivi ha sopperito nel corso degli anni una consolidata giurisprudenza secondo cui i minimi tabellari stabiliti nei Ccnl sono applicabili anche alle imprese e ai lavoratori che non hanno sottoscritto alcun contratto collettivo. In Italia, dunque, trovano applicazione, per i relativi settori, i livelli minimi di retribuzione stabiliti dai contratti collettivi nazionali per ciascuna qualifica e mansione. Vi sono, tuttavia, settori, qualifiche e mansioni che possono risultare non coperti dalla contrattazione collettiva. Per quanto riguarda il secondo profilo - continua Stasi - l'elevato numero di Ccnl ha dato luogo al fenomeno del cosiddetto dumping contrattuale, vale a dire l'applicazione di contratti firmati da organizzazioni datoriali e sindacali che non risultano maggiormente rappresentative e che applicano minimi tabellari più bassi».


Attualmente, il salario minimo esiste in tutti gli Stati membri dell'Unione europea: in 21 Paesi esistono salari minimi legali, mentre in 6 Stati membri (Danimarca, Italia, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia) la protezione del salario minimo è fornita esclusivamente dai contratti collettivi. C'è inoltre la direttiva 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 ottobre 2022 relativa a salari minimi adeguati nell'Unione europea, che deve essere recepita entro il 14 novembre 2024: l'obiettivo non è la definizione di un salario minimo unico per tutti gli Stati membri, quanto piuttosto quello di garantire l'adeguatezza dei salari minimi e condizioni di vita e di lavoro dignitose per i lavoratori europei, nel rispetto delle specificità di ogni ordinamento interno e favorendo al contempo il dialogo tra le parti sociali.

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