La guerra delle spiagge. «Siamo al cortocircuito. Ora il sistema va in tilt»

La guerra delle spiagge. «Siamo al cortocircuito. Ora il sistema va in tilt»
di Matteo CAIONE
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Venerdì 3 Maggio 2024, 05:00


Tutti contro tutti. Sulla scadenza delle concessioni demaniali e sull’immediata apertura delle gare per l’assegnazione di lidi e spiagge è guerra a tutto campo. E il cortocircuito che torna ad infiammare lo scontro è prima di tutto istituzionale con il governo, la giustizia amministrativa e l’Unione Europea che da tempo viaggiano in direzione ostinata e contraria. Un braccio di ferro che ora rischia di mandare in tilt l’intero comparto. A riaccendere la bagarre è stata la sentenza del Consiglio di Stato che ha confermato la scadenza delle concessioni demaniali per le spiagge al 31 dicembre dello scorso anno richiamando “i principi della Corte di Giustizia Ue" per dare "immediatamente corso alla procedura di gara per assegnare la concessione in un contesto realmente concorrenziale". Un colpo di spugna che ora obbliga le amministrazioni a disapplicare le deroghe al 31 dicembre del 2024. Nella sentenza si sottolinea che la risorsa spiaggia "è scarsa", diversamente da quello che aveva invece stabilito la mappatura messa a punto dal governo Meloni e inviata a Bruxelles a sostegno della mancata applicazione della direttiva Bolkestein. Per la ricognizione affidata dall’esecutivo ad un tavolo tecnico solo il 33% delle coste marittime sono in concessione, ma sia l’Ue che il Consiglio di stato hanno messo in dubbio questi dati.

Il presidente del Tar

Intanto, il presidente del Tar di Lecce, Antonio Pasca, che più volte si è occupato di queste vicende, muove non pochi rilievi sia alla sentenza che al governo. «Parlare di cortocircuito è riduttivo, siamo nel caos più totale.

Sono almeno cinque anni che segnalo l’urgenza di intervenire. Non dico nulla di nuovo: non è normale che di questa questione si debba decidere nelle aule di giustizia e non nelle sedi preposte, governo e parlamento, che sono sotto scacco del giudice. Si è avviato un gioco pericolosissimo, il gioco delle nullità e della disapplicazione che può diventare un boomerang. Non riesco a comprendere il motivo per il quale la legge del governo Meloni che ha prorogato le scadenza al 2024 sia inapplicabile mentre quella del governo Draghi invece sia applicabile. È un fatto gravissimo, che per alcuni aspetti sembra quasi eversivo. L’effetto di disapplicazione della legge del governo Meloni - spiega Pasca - è legato esclusivamente al pronunciamento delle adunanze plenarie, delle sentenza gemelle, che alla fine stabilisce: sono nulli tutti i provvedimenti di ulteriori proroghe anche qualora fossero esecutivi di una norma di legge, gettando così una specie di anatema sul futuro. È un’invasione di campo. Ma un giudice amministrativo può decidere solo sull’atto che viene impugnato. Inoltre, la sentenza della corte di giustizia Ue dell’aprile 2023 scaturita dal rinvio pregiudiziale disposto dal Tar di Lecce stabilisce chiaramente che ad esprimersi sulla scarsità della “risorsa costa” debba essere l’autorità di governo, che deve elaborare criteri oggettivi e generali da affidare poi ai comuni: qualsiasi sentenza che dica che la risorsa è scarsa si pone in contrasto frontale con la direttiva che quella sentenza della corte di giustizia esprime in modo autentico. C’è poi da segnalare la latitanza dei governi, legata a impegni o promesse elettorali, o comunque ad atteggiamenti non trasparenti, che ha favorito e sollecitato il potere surrogatorio del giudice».

I titolari dei lidi

Ma ora, alla vigilia della stagione balneare, sono anche i titolari delle concessioni sparano ad alzo zero. «La politica fugge dalle responsabilità e il Consiglio di stato non ha fatto altro che ribadire ciò sta dicendo da mesi: le gare non si possono fare perché manca qualsiasi determinazione sull'indennizzo e al contempo ha detto che la risorsa costiera è scarsa e le gare si devono fare», tuona Antonio Capacchione, presidente nazionale del Sindacato balneari affiliato a Fipe-Confcommercio. Insomma, un cul de sac. «Per superare questa confusione o il governo Meloni trascina il consiglio di Stato davanti alla corte costituzionale, contestando il fatto che ha invaso le competenze del governo, oppure deve subito emanare una legge. Se per il governo la risorsa non è scarsa, i risultati del tavolo tecnico-consultivo devono essere trasformati in un provvedimento, in un dpcm o in una norma. Se non fa nessuna delle due cose, allora ci sta prendendo in giro. Non è accettabile una campagna elettorale sulla pelle dei balneari», sbotta Capacchione.

In campo, intanto, anche gli ambientalisti. Per Maurizio Manna, direttore di Legambiente Puglia, «serve un nuovo protagonismo dello Stato: serve più controllo e vigilanza sui tratti di costa dati in concessione. Prima ancora del profitto e del business dei privati, serve la tutela ambientale. Oggi le coste sono sotto minaccia, sono il primo fronte di attacco dei cambiamenti climatici e dell’erosione, con una pressione antropica fortissima dovuta al boom del turismo e alla perdita anche di biodiversità. Serve quindi un patto di responsabilità. Nessun preconcetto verso i gestori, che in gran parte sono imprese familiari. Ma non è semplicemente rinnovando le concessioni oppure mettendole sul mercato che la situazione migliorerà. Servono norme stringenti sulla tutela ambientale e più vigilanza. Il rischio, che va scongiurato con le nuove gare, è che tratti di costa possano finire in mano alla criminalità o sotto il monopolio di lobby, multinazionali e gruppi di potere», conclude Manna.

Secondo Vincenzo Portaccio, imprenditore balneare di Gallipoli iscritto alla sezione turismo di Confindustria «il Consiglio di stato dice che ogni proroga è illegittima, dall’altra non ci sono decreti attuativi per l’indennizzo, non si conoscono le modalità delle gare e nemmeno quando si terranno. L’Italia che vive soprattutto di turismo, in questo settore si affida all’improvvisazione. Siamo nel caos totale, tra approcci ideologici e senza idee chiare: così si rischia di buttare via il bambino con l’acqua sporca».

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