Tutti contro tutti. Sulla scadenza delle concessioni demaniali e sull’immediata apertura delle gare per l’assegnazione di lidi e spiagge è guerra a tutto campo. E il cortocircuito che torna ad infiammare lo scontro è prima di tutto istituzionale con il governo, la giustizia amministrativa e l’Unione Europea che da tempo viaggiano in direzione ostinata e contraria. Un braccio di ferro che ora rischia di mandare in tilt l’intero comparto. A riaccendere la bagarre è stata la sentenza del Consiglio di Stato che ha confermato la scadenza delle concessioni demaniali per le spiagge al 31 dicembre dello scorso anno richiamando “i principi della Corte di Giustizia Ue" per dare "immediatamente corso alla procedura di gara per assegnare la concessione in un contesto realmente concorrenziale". Un colpo di spugna che ora obbliga le amministrazioni a disapplicare le deroghe al 31 dicembre del 2024. Nella sentenza si sottolinea che la risorsa spiaggia "è scarsa", diversamente da quello che aveva invece stabilito la mappatura messa a punto dal governo Meloni e inviata a Bruxelles a sostegno della mancata applicazione della direttiva Bolkestein. Per la ricognizione affidata dall’esecutivo ad un tavolo tecnico solo il 33% delle coste marittime sono in concessione, ma sia l’Ue che il Consiglio di stato hanno messo in dubbio questi dati.
Il presidente del Tar
Intanto, il presidente del Tar di Lecce, Antonio Pasca, che più volte si è occupato di queste vicende, muove non pochi rilievi sia alla sentenza che al governo. «Parlare di cortocircuito è riduttivo, siamo nel caos più totale.
I titolari dei lidi
Ma ora, alla vigilia della stagione balneare, sono anche i titolari delle concessioni sparano ad alzo zero. «La politica fugge dalle responsabilità e il Consiglio di stato non ha fatto altro che ribadire ciò sta dicendo da mesi: le gare non si possono fare perché manca qualsiasi determinazione sull'indennizzo e al contempo ha detto che la risorsa costiera è scarsa e le gare si devono fare», tuona Antonio Capacchione, presidente nazionale del Sindacato balneari affiliato a Fipe-Confcommercio. Insomma, un cul de sac. «Per superare questa confusione o il governo Meloni trascina il consiglio di Stato davanti alla corte costituzionale, contestando il fatto che ha invaso le competenze del governo, oppure deve subito emanare una legge. Se per il governo la risorsa non è scarsa, i risultati del tavolo tecnico-consultivo devono essere trasformati in un provvedimento, in un dpcm o in una norma. Se non fa nessuna delle due cose, allora ci sta prendendo in giro. Non è accettabile una campagna elettorale sulla pelle dei balneari», sbotta Capacchione.
In campo, intanto, anche gli ambientalisti. Per Maurizio Manna, direttore di Legambiente Puglia, «serve un nuovo protagonismo dello Stato: serve più controllo e vigilanza sui tratti di costa dati in concessione. Prima ancora del profitto e del business dei privati, serve la tutela ambientale. Oggi le coste sono sotto minaccia, sono il primo fronte di attacco dei cambiamenti climatici e dell’erosione, con una pressione antropica fortissima dovuta al boom del turismo e alla perdita anche di biodiversità. Serve quindi un patto di responsabilità. Nessun preconcetto verso i gestori, che in gran parte sono imprese familiari. Ma non è semplicemente rinnovando le concessioni oppure mettendole sul mercato che la situazione migliorerà. Servono norme stringenti sulla tutela ambientale e più vigilanza. Il rischio, che va scongiurato con le nuove gare, è che tratti di costa possano finire in mano alla criminalità o sotto il monopolio di lobby, multinazionali e gruppi di potere», conclude Manna.
Secondo Vincenzo Portaccio, imprenditore balneare di Gallipoli iscritto alla sezione turismo di Confindustria «il Consiglio di stato dice che ogni proroga è illegittima, dall’altra non ci sono decreti attuativi per l’indennizzo, non si conoscono le modalità delle gare e nemmeno quando si terranno. L’Italia che vive soprattutto di turismo, in questo settore si affida all’improvvisazione. Siamo nel caos totale, tra approcci ideologici e senza idee chiare: così si rischia di buttare via il bambino con l’acqua sporca».
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