Forza Italia, Quagliariello: «Il partito non diventi un simulacro. Divisioni? Vanno superate»

Forza Italia, Quagliariello: «Il partito non diventi un simulacro. Divisioni? Vanno superate»
di Paola ANCORA
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Sabato 17 Giugno 2023, 05:00

Un convinto liberale sin da quando muoveva i primi passi nell’agone politico, Gaetano Quagliariello è poi stato ministro della Repubblica, più volte parlamentare. E forzista della prima ora: fu fra gli animatore della rivista “Ideazione” dell’indimenticato sindaco di Brindisi, Domenico Mennitti.

Onorevole, con la scomparsa di Silvio Berlusconi si è aperto il dibattito sul futuro del suo partito, Forza Italia. Cosa pensa accadrà? 
«Non credo cambierà molto da qui alle elezioni europee del 2024.

Ritengo ci sarò l’impegno di tutta la coalizione a lasciare le cose così come stanno, anche perché il futuro del partito dipenderà anche dal risultato del voto europeo. Un conto è mantenere i quadri, la nomenclatura, altra cosa è invece mantenere i voti. Ragionamento che trova forza anche nel fatto che alle Europee si voterà con il proporzionale: sarà un banco di prova importante. Piuttosto vorrei esprimere un auspicio».

Quale?
«Vorrei che l’area politica liberal-moderata potesse riprendere vigore. Nel bene e nel male, credo che il presidente Berlusconi si sia identificato con il Paese. Lo provano questi giorni di lutto e la reazione delle persone alla sua scomparsa. Ma è inconfutabile che l’area politica che rappresentava nell’ultimo periodo si sia rattrappita».

Lo conferma il dato delle Politiche dello scorso settembre: Forza Italia, a livello nazionale, ha perso 2.317.826 di voti, fermandosi all’8,11% contro il 14% di quattro anni fa.
«Nella coalizione di centrodestra il partito di Forza Italia è passato da un ruolo di primo piano a quello attuale da comprimario. Chi si sente vicino all’area liberal-moderata deve sperare che si possano innescare processi che le consentano di tornare a espandersi. Stabilire come e con quale formula verrà dopo. Sarebbe importante non diventi, insomma, soltanto un simulacro, a maggior ragione ora che il presidente non c’è più».

Onorevole esclude l’idea – di cui pure si discute da tempo – di creare un partito unico, che riunisca i conservatori italiani?
«Questo sistema istituzionale non si presta a simili soluzioni. I partiti unici, di coalizione, funzionano meglio nei sistemi di elezione diretta del presidente. Credo però che, sebbene non immeditamente, quest’area moderata una rappresentanza debba trovarla. Dunque o ci sarà una operazione di Meloni che trasformerà il suo partito in un nuovo Partito delle Libertà oppure sarà necessario un processo di rifondazione che potrebbe partire dall’interno di Forza Italia e coinvolgere i centristi».

La premier accarezza l’idea di un sistema presidenziale. Esclude il partito unico perché ritiene che le riforme costituzionali annunciate non saranno portate a termine?
«Ho sentito parlare di tante possibili riforme. Le istituzioni non sono qualcosa di cui discutere un tanto al chilo. Bisogna capire quale ipotesi prenderà forma perché quelle finora in campo sono fra loro anche molto differenti. In secondo luogo la storia ci insegna che, quando si parla di riforma costituzionale – e io, da ministro, ne feci approvare una all’unanimità – è bene attenersi al vecchio detto di Trapattoni: “Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco”. Vale soprattutto in questo caso».

C’è chi ha indicato Renzi quale erede di Berlusconi. La trova una ipotesi suggestiva o siamo alla fantapolitica?
«Berlusconi non ha eredi, non li ha voluti né tanto meno se ne creeeranno ora. Renzi può certamente essere coinvolto in un processo di rifondazione del partito, ma non penso possa essere l’erede del Cavaliere perché la sua parabola politica di leader si è consumata. Ciò non vuol dire che non possa avere altri ruoli, ma mancherebbe, sul suo nome, quell’elemento di novità necessariamente legato a una ripartenza».

La famiglia del Cavaliere, i suoi figli avranno un ruolo attivo, secondo lei, nel tenere vivo il partito?
«Penso che nell’immediato tutti faranno la loro parte perché Forza Italia possa continuare la sua corsa».

In Puglia la squadra azzurra è divisa a metà, fra chi sostiene la corrente che fa capo al presidente Tajani e chi quella che porta, invece, alla capogruppo al Senato, Licia Ronzulli. Gli azzurri hanno già perso alcuni dei loro big. Pensa che anche questa lotta fratricida sarà silenziata da qui alle Europee o, senza il leader, darà un’accelerazione definitiva alla diaspora?
«È assolutamente evidente che se Forza Italia vuole avere anche solo una speranza di poter continuare a esistere, le divisioni debbano venire meno. Potevano avere un senso finché c’è stata una figura che riunificava tutto e tutti, al di sopra del bene e del male. Ora che quella figura è venuta meno, se le divisioni non cessano sarà molto difficile ottenere una prognosi fausta per il partito».

Che ricordo ha di Silvio Berlusconi?
«Personalmente l’ho frequentato moltissimo quando sono stato capogruppo vicario del Partito delle Libertà. Avevamo una consultazione anche quotidiana. Negli ultimi due anni abbiamo poi perso i contatti, ma il nostro è stato un rapporto completamente compiuto. Con lui avevo grande franchezza, non ho mai lesinato critiche e dubbi quando li ho avuti e da Berlusconi ho ricevuto sempre un evidente rispetto. Una scelta politica, tuttavia, è sempre un fatto empirico e approssimativo. Dunque quando i dubbi sono diventati eccessivi ci siamo lasciati, ma con grande cordialità. In politica era difficile stare con lui se non si aderiva a una visione che aveva al centro la sua persona, ma era possibile distaccarsene senza che vi fosse una rottura personale».

Cosa lascia?
«Negli ultimi decenni del Novecento c’è stata una perfetta corrispondenza fra lui e il Paese. Sono stati anni di grande vitalità e ottimismo. Nelle fasi successive questa sintonia è andata perduta e il partito che lui rappresentava si è avviato alla decadenza. Berlusconi ha rappresentato bene l’Italia dal punto di vista antropologico: ne ha incarnato l’individualismo estremo. In questo tratto si ritrova l’Italia che lo ha amato, ma anche quella che lo ha detestato, altrettanto individualista».

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