L'ex Ilva è sempre lì, a un soffio di vento, a due passi e a qualche punto di domanda. E i Tamburi di Taranto sono metafora di molte contraddizioni e di altrettante voragini senza fondo della politica: qui il grande polo siderurgico c’è, ma non si vede, o si vede e si sente, ma è un sottinteso, un “non detto” lasciato sullo sfondo e che riaffiora quasi per caso, come un inciso, nonostante emissioni, spolverii, calo produttivo, cassa integrazione. Basta pungolare, però, e le parole scorrono. Nel circolo Pd del quartiere - una specie di trincea popolata da qualche ruvido reduce e da molti sanguigni combattenti al piano terra di uno dei tanti palazzi cadenti - l’ex Ilva è solo “la fabbrica”, un dato di fatto senza altri orpelli o aggettivi, un colosso che andrebbe cavalcato e non smantellato, governato e ambientalizzato e non (ancora) dismesso. «È un problema politico», batte letteralmente il pugno un vigoroso militante ex dipendente del siderurgico; «da risolvere con la tecnica», raccoglie la sponda un altro tesserato. Non aspettatevi però il monopolio del dossier Ilva su tutto il resto, in questa fluviale e corale chiacchierata di quasi due ore. C’è molto altro, c’è l’orgoglio di bandiera dem e di storia operaia che s’impone su tutto. C’è la speranza già germinata di risposte concrete e di un futuro diverso e diversificato e non necessariamente opposto per la città, pur con l’opportuna cautela. E c’è il bisogno di prossimità, vicinanza, che passa banalmente da un partito in grado di “stare nelle cose”, nella periferia, nei piccoli e grandi cantieri di vicinato, nella fame di lavoro e di sanità efficiente.
Da sinistra a destra
Il viaggio tra i circoli Pd (qui la prima puntata) fa tappa in un luogo di lacerazioni, emblema di una lunga stagione di quesiti irrisolti per il partito “governista” e “dei decreti”, e che tuttavia non ha mai fino in fondo sciolto l’enigma della fabbrica e del quartiere-fabbrica: ambiente e lavoro, sviluppo e salute, resa e sfida. Tamburi e Ilva sono luoghi di conflitto sociale spesso dimenticati dal Pd di Roma e di Bari, luoghi buoni solo per essere incastonati in qualche comunicato stampa, più che presidiati fisicamente. Egidio Di Todaro, occhi blu saettanti, alza la saracinesca ai circa 20 dei «60-65 tesserati»: è segretario di circolo da sempre, ex presidente della Circoscrizione Tamburi. «In passato il quartiere è stato molto vicino al partito, raggiungendo anche il 60% di consensi. Poi, c’è stato un progressivo allontanamento. E il motivo è stato ovviamente l’Ilva» con «questo movimento distorto degli ambientalisti che non si è preoccupato della fine che avrebbero fatto i lavoratori». «L’elettorato ha preso altre strade, a settembre si è spostato tutto a destra per le tante promesse», ma «per fortuna pochi mesi prima le cose sono andate diversamente grazie al nostro caro sindaco». I manifesti elettorali di Rinaldo Melucci tappezzano ancora le pareti della piccola sala, e qui dentro il primo cittadino ispira fiducia. «Tutto è partito dall’arrivo dei cinque stelle, con le loro promesse», e il rapporto con i pentastellati ha ulteriormente sfaldato il Pd. «Noi ora siamo con Bonaccini che è contro tutte queste divisioni», in un partito troppo impegnato negli anni «a preservare le poltrone».
Il dossier Ilva, le responsabilità, la fabbrica da non chiudere
Ma chi e perché ha sbagliato più forte su Taranto nel Pd? «Il partito - dice Domenico Ferrulli - non ha molte colpe sul caso Ilva. Ci vogliono tecnici in grado di elaborare un vero piano di investimento: non bastano due-tre capannoni per proteggere i minerali dal vento, occorre una visione organica che tuteli ecologia ed economia. Distruggere tutto è facile, migliorare è difficile e la fabbrica va ricostruita». Il quartiere «è invecchiato, i giovani non ci sono più» ed è un allarme confermato da tutti. Il quartiere cambierà, ci sono cantieri per 40 milioni. «Ma qui - va giù duro Pasquale Pricci - siamo “comandati” dalla fabbrica, quando invece dovremmo essere noi a controllarla e a controllarne l’inquinamento», «e poi dove vanno tutti gli operai senza lavoro?». Si leva una voce: «È ignoranza parlare di chiusura». È un problema di presenza, di contatto con la realtà. Lo sintetizza Valerio Papa, giovane consigliere comunale: «Per questo abbiamo accolto con favore l’accordo di programma per la transizione: siamo al tavolo da protagonisti». Cosimo Tratto è un ex Ilva: «L’errore del partito è stato non aver difeso fabbrica e lavoratori». «La fabbrica sì, i lavoratori no», entra a gamba tesa Michele Morrone, «“giovane tesserato”, nel senso che sono iscritto da poco, dopo la pensione»: «Sono stati difesi gli interessi dell’azienda a scapito della città e dei lavoratori, che anche sotto l’aspetto ambientale hanno pagato le conseguenze». «L’ultimo schiaffo è stato cercare di tagliare le ali alla magistratura, che comunque interviene a danno ambientale, sociale, culturale ormai compiuto». «Nella fase dell’Italsider - ricorda Giorgio Fazio, ex dirigente scolastico - c’era un rapporto diverso con la città, anche di trasferimento della cultura industriale, un sentimento di appartenenza.
Cosa deve essere il Pd?
Pricci è «tra i fondatori del circolo»: «Il vero Pd non è mai esistito. Quando c’era il Pci, qualsiasi cosa si decideva in sezione. Ora si eleggono consiglieri e non si sa chi li sceglie. Manca il collegamento tra base e vertice, si fanno vivi solo in campagna elettorale, pensano alla poltrona e non ai veri problemi: sono sei mesi che aspetto una visita dopo essere stato operato a un occhio. Bisognerebbe tornare nei quartieri, tra la povera gente. Ormai ho paura a dire che sono del Pd». «In nome della governabilità - riflette il consigliere Papa - abbiamo partecipato a tutti i governi degli ultimi 12-13 anni, accettando le mediazioni e smarrendo l’identità. Dobbiamo riconnetterci con le persone e i loro sentimenti». Emilio Morrone ha 34 anni: «Prima molti problemi potevano essere risolti dai governi nazionali, ora ci sono vincoli, norme, innanzitutto dell’Ue. E questo ha portato a uno scollamento», prima di tutto «con i ragazzi»: «Questa stanza oggi doveva essere piena di giovani...». «Troppe fratture e distanze nel partito - scuote la testa Cosimo Lippolis - e per la prima volta non farò la tessera. Non si discute più dei temi concreti, la cassa integrazione da distribuire a rotazione per esempio: mio figlio è un portuale da 8 anni in Cig». Ignazio Pignataro mette l’accento sulla sanità: «Sono 40 anni che subiamo. Qui si muore di tumore e tra nuovo ospedale e registro tumori siamo fermi. Prima il partito era un riferimento per tutto, anche per una lampadina rotta per strada». Alex Ferrulli, 33enne, vorrebbe prese di posizione nette sui temi chiave: «Autonomia differenziata, scuola, sanità, disabilità, cultura».
Il tesserato "a sorpresa" e le prospettive
C’è un sindacalista dei portuali in pensione che osserva attento e ha «imbarazzo a intervenire, per via del mio cognome»: si chiama Adolfo Melucci, è il papà del sindaco. «Abitiamo dall’altra parte della città, ma io e mio figlio abbiamo scelto di tesserarci ai Tamburi». Tra difesa e proposta: «Vedo più attenzione dei giovani verso il partito. E se Taranto sta cambiando, è anche grazie al Pd», «che vuol dare una direzione diversa». «Il partito deve riprendere la sua strada, modernizzarsi, ascoltare i bisogni della collettività, parlare con i lavoratori, creare opportunità con un modello di sviluppo diverso», «la città sta ripartendo e la narrazione è cambiata». I problemi sì, «sono grandi, ma possiamo risolverli se guardiamo a cosa accade nel mondo con lo sviluppo sostenibile. Io 50 anni fa ero tra quelli che hanno creduto nell’Italsider, non c’era la sensibilità di oggi e le nostre famiglie hanno avuto agiatezza e benessere. Ma ora o l’azienda cambia modello, o chiude». Il ciclo è lungo, per tutti, «e il sindaco ha bisogno di essere incoraggiato, magari criticato nel merito, da un Pd forte e competente». Anche sfidando il conflitto, ambiente e lavoro, sviluppo e salute, passato e futuro, lì dove farlo sembra opera da pazzi.