Viaggio nei circoli Pd/I militanti ai Tamburi: «Ex Ilva, sanità, lavoro, giovani: si torni nelle periferie»

Viaggio nei circoli Pd/I militanti ai Tamburi: «Ex Ilva, sanità, lavoro, giovani: si torni nelle periferie»
di Francesco G. GIOFFREDI
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Domenica 29 Gennaio 2023, 16:56 - Ultimo aggiornamento: 10 Febbraio, 17:01

L'ex Ilva è sempre lì, a un soffio di vento, a due passi e a qualche punto di domanda. E i Tamburi di Taranto sono metafora di molte contraddizioni e di altrettante voragini senza fondo della politica: qui il grande polo siderurgico c’è, ma non si vede, o si vede e si sente, ma è un sottinteso, un “non detto” lasciato sullo sfondo e che riaffiora quasi per caso, come un inciso, nonostante emissioni, spolverii, calo produttivo, cassa integrazione. Basta pungolare, però, e le parole scorrono. Nel circolo Pd del quartiere - una specie di trincea popolata da qualche ruvido reduce e da molti sanguigni combattenti al piano terra di uno dei tanti palazzi cadenti - l’ex Ilva è solo “la fabbrica”, un dato di fatto senza altri orpelli o aggettivi, un colosso che andrebbe cavalcato e non smantellato, governato e ambientalizzato e non (ancora) dismesso. «È un problema politico», batte letteralmente il pugno un vigoroso militante ex dipendente del siderurgico; «da risolvere con la tecnica», raccoglie la sponda un altro tesserato. Non aspettatevi però il monopolio del dossier Ilva su tutto il resto, in questa fluviale e corale chiacchierata di quasi due ore. C’è molto altro, c’è l’orgoglio di bandiera dem e di storia operaia che s’impone su tutto. C’è la speranza già germinata di risposte concrete e di un futuro diverso e diversificato e non necessariamente opposto per la città, pur con l’opportuna cautela. E c’è il bisogno di prossimità, vicinanza, che passa banalmente da un partito in grado di “stare nelle cose”, nella periferia, nei piccoli e grandi cantieri di vicinato, nella fame di lavoro e di sanità efficiente.

Da sinistra a destra

Il viaggio tra i circoli Pd (qui la prima puntata) fa tappa in un luogo di lacerazioni, emblema di una lunga stagione di quesiti irrisolti per il partito “governista” e “dei decreti”, e che tuttavia non ha mai fino in fondo sciolto l’enigma della fabbrica e del quartiere-fabbrica: ambiente e lavoro, sviluppo e salute, resa e sfida. Tamburi e Ilva sono luoghi di conflitto sociale spesso dimenticati dal Pd di Roma e di Bari, luoghi buoni solo per essere incastonati in qualche comunicato stampa, più che presidiati fisicamente. Egidio Di Todaro, occhi blu saettanti, alza la saracinesca ai circa 20 dei «60-65 tesserati»: è segretario di circolo da sempre, ex presidente della Circoscrizione Tamburi. «In passato il quartiere è stato molto vicino al partito, raggiungendo anche il 60% di consensi. Poi, c’è stato un progressivo allontanamento. E il motivo è stato ovviamente l’Ilva» con «questo movimento distorto degli ambientalisti che non si è preoccupato della fine che avrebbero fatto i lavoratori». «L’elettorato ha preso altre strade, a settembre si è spostato tutto a destra per le tante promesse», ma «per fortuna pochi mesi prima le cose sono andate diversamente grazie al nostro caro sindaco». I manifesti elettorali di Rinaldo Melucci tappezzano ancora le pareti della piccola sala, e qui dentro il primo cittadino ispira fiducia. «Tutto è partito dall’arrivo dei cinque stelle, con le loro promesse», e il rapporto con i pentastellati ha ulteriormente sfaldato il Pd. «Noi ora siamo con Bonaccini che è contro tutte queste divisioni», in un partito troppo impegnato negli anni «a preservare le poltrone».

 

 

Il dossier Ilva, le responsabilità, la fabbrica da non chiudere

Ma chi e perché ha sbagliato più forte su Taranto nel Pd? «Il partito - dice Domenico Ferrulli - non ha molte colpe sul caso Ilva. Ci vogliono tecnici in grado di elaborare un vero piano di investimento: non bastano due-tre capannoni per proteggere i minerali dal vento, occorre una visione organica che tuteli ecologia ed economia. Distruggere tutto è facile, migliorare è difficile e la fabbrica va ricostruita». Il quartiere «è invecchiato, i giovani non ci sono più» ed è un allarme confermato da tutti. Il quartiere cambierà, ci sono cantieri per 40 milioni. «Ma qui - va giù duro Pasquale Pricci - siamo “comandati” dalla fabbrica, quando invece dovremmo essere noi a controllarla e a controllarne l’inquinamento», «e poi dove vanno tutti gli operai senza lavoro?». Si leva una voce: «È ignoranza parlare di chiusura». È un problema di presenza, di contatto con la realtà. Lo sintetizza Valerio Papa, giovane consigliere comunale: «Per questo abbiamo accolto con favore l’accordo di programma per la transizione: siamo al tavolo da protagonisti». Cosimo Tratto è un ex Ilva: «L’errore del partito è stato non aver difeso fabbrica e lavoratori». «La fabbrica sì, i lavoratori no», entra a gamba tesa Michele Morrone, «“giovane tesserato”, nel senso che sono iscritto da poco, dopo la pensione»: «Sono stati difesi gli interessi dell’azienda a scapito della città e dei lavoratori, che anche sotto l’aspetto ambientale hanno pagato le conseguenze». «L’ultimo schiaffo è stato cercare di tagliare le ali alla magistratura, che comunque interviene a danno ambientale, sociale, culturale ormai compiuto». «Nella fase dell’Italsider - ricorda Giorgio Fazio, ex dirigente scolastico - c’era un rapporto diverso con la città, anche di trasferimento della cultura industriale, un sentimento di appartenenza.

Poi siamo incappati in una proprietà “assolutista”, che ha creato una cesura», «in generale ci sarebbe bisogno di giovani, di modernità». È un tasto ricorrente, con diverse sfumature: «Ogni giorno qui al circolo - ammette Di Todaro - vengono ragazzi disperati che cercano un lavoro. E vorrei sapere cosa rispondere, quale aiuto fornire». È in queste linee di frattura che il Pd dovrebbe incunearsi. «Magari - incalza Ferrulli - con un gruppo di gente che, come accaduto a Taranto, abbia la forza di trovare un progetto», «con princìpi e argomenti validi, senza i quali viene meno tutto, anche la base», «la gente del resto si è stancata delle molte parole, ci rimprovera di aver governato per tanti anni». Non senza trascurare il ricambio del gruppo dirigente, «e ci vorrebbe un mea culpa», o l’unità del centrosinistra. Morrone incalza: «I partiti sono liste e lobby di potere».

Cosa deve essere il Pd?

Pricci è «tra i fondatori del circolo»: «Il vero Pd non è mai esistito. Quando c’era il Pci, qualsiasi cosa si decideva in sezione. Ora si eleggono consiglieri e non si sa chi li sceglie. Manca il collegamento tra base e vertice, si fanno vivi solo in campagna elettorale, pensano alla poltrona e non ai veri problemi: sono sei mesi che aspetto una visita dopo essere stato operato a un occhio. Bisognerebbe tornare nei quartieri, tra la povera gente. Ormai ho paura a dire che sono del Pd». «In nome della governabilità - riflette il consigliere Papa - abbiamo partecipato a tutti i governi degli ultimi 12-13 anni, accettando le mediazioni e smarrendo l’identità. Dobbiamo riconnetterci con le persone e i loro sentimenti». Emilio Morrone ha 34 anni: «Prima molti problemi potevano essere risolti dai governi nazionali, ora ci sono vincoli, norme, innanzitutto dell’Ue. E questo ha portato a uno scollamento», prima di tutto «con i ragazzi»: «Questa stanza oggi doveva essere piena di giovani...». «Troppe fratture e distanze nel partito - scuote la testa Cosimo Lippolis - e per la prima volta non farò la tessera. Non si discute più dei temi concreti, la cassa integrazione da distribuire a rotazione per esempio: mio figlio è un portuale da 8 anni in Cig». Ignazio Pignataro mette l’accento sulla sanità: «Sono 40 anni che subiamo. Qui si muore di tumore e tra nuovo ospedale e registro tumori siamo fermi. Prima il partito era un riferimento per tutto, anche per una lampadina rotta per strada». Alex Ferrulli, 33enne, vorrebbe prese di posizione nette sui temi chiave: «Autonomia differenziata, scuola, sanità, disabilità, cultura».

Il tesserato "a sorpresa" e le prospettive

C’è un sindacalista dei portuali in pensione che osserva attento e ha «imbarazzo a intervenire, per via del mio cognome»: si chiama Adolfo Melucci, è il papà del sindaco. «Abitiamo dall’altra parte della città, ma io e mio figlio abbiamo scelto di tesserarci ai Tamburi». Tra difesa e proposta: «Vedo più attenzione dei giovani verso il partito. E se Taranto sta cambiando, è anche grazie al Pd», «che vuol dare una direzione diversa». «Il partito deve riprendere la sua strada, modernizzarsi, ascoltare i bisogni della collettività, parlare con i lavoratori, creare opportunità con un modello di sviluppo diverso», «la città sta ripartendo e la narrazione è cambiata». I problemi sì, «sono grandi, ma possiamo risolverli se guardiamo a cosa accade nel mondo con lo sviluppo sostenibile. Io 50 anni fa ero tra quelli che hanno creduto nell’Italsider, non c’era la sensibilità di oggi e le nostre famiglie hanno avuto agiatezza e benessere. Ma ora o l’azienda cambia modello, o chiude». Il ciclo è lungo, per tutti, «e il sindaco ha bisogno di essere incoraggiato, magari criticato nel merito, da un Pd forte e competente». Anche sfidando il conflitto, ambiente e lavoro, sviluppo e salute, passato e futuro, lì dove farlo sembra opera da pazzi.

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