Viaggio nei circoli Pd/I militanti: «Troppo distanti dalla realtà. I lavoratori prima di tutto»

Viaggio nei circoli Pd/I militanti: «Troppo distanti dalla realtà. I lavoratori prima di tutto»
di Francesco G. GIOFFREDI
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Domenica 22 Gennaio 2023, 10:55 - Ultimo aggiornamento: 10:58

Smarriti, tanto. Perché l’identità politica del Pd s’è sbiadita e ingrigita, al punto da non trascinare e da non trasmettere più nulla, e di agenda di temi ben sintonizzata nemmeno a parlarne. Delusi, dimenticati e arrabbiati, tantissimo. Perché a Roma e in Puglia c’è una classe dirigente lontana, aliena, elitaria, gli «emiri» accusa qualcuno, animata solo dall’autoconservazione di se stessa, da accordi e disaccordi tra correnti e consorterie. Eppure speranzosi, appassionati, vivi, tutti. Assetati di svolte, di una «nuova fase costituente», nonostante chiedersi «chi me lo fa fare» è dubbio di ogni giorno e recuperare voti in giro è una fatica titanica, ammettono a Mesagne in un’umida serata di gennaio, mentre lì fuori da qualche parte il congresso Pd promette un futuro di idee forti e grandi riscosse, e al quale però credere diventa un coraggioso atto di fede. L’ennesimo, magari l’ultimo.

Il viaggio, la prima tappa

Militanti, base, tesserati: chiamateli come vi pare. E saranno pure parole preziose, ma ormai impolverate. È la prima tappa di un viaggio tra gli invisibili, sul filo di disaffezione e tenacia. Chi si iscrive più a un partito? Nel circolo Pd di Mesagne sono circa 80, «ma stiamo chiudendo il tesseramento al 31 gennaio per il congresso e saremo di più», promette Francesco Rogoli, giovane segretario provinciale dem a capo anche della sezione cittadina. Età media? Alta, «come in tutto il partito...». E come del resto qui nella sala tappezzata dalle effigi di Togliatti e Berlinguer: una quindicina degli 80 tesserati partecipa all’incontro, il circolo è nell’immobile dell’Unione cooperativa dei lavoratori. Tutti stipati in una gelida sala che sa di ‘900, riunioni torrenziali e di fatica vera e pura, quasi ingenua, della politica, tra parole chiave sbalzate da un altro tempo – «forma partito», «etica pubblica» - e un lessico nuovo, o semplicemente vecchio e però d’improvviso attuale, urgente: «ambiente», «lavoro», gli «ultimi», i «diritti sociali», il «rinnovamento». Tema: il Pd. Modalità: sfogo senza freni e filtri. Il taccuino si riempie in fretta. Ci sono pure un paio di ex sindaci, l’uno dal Pci e l’altro dalla Dc. E, sorpresa, c’è un neo-laureato 25enne che si sta tesserando in queste ore: ci crede, o almeno ci prova. «Ho votato anche cinque stelle, adesso ci vuole una speranza».

 

 

«Noi mai ascoltati». «Questi i temi dei quali occuparsi»

Speranza. Una parola ormai straniera in un partito che negli ultimi anni ha scelto la responsabilità, l’obbligo del governo, il presidio del palazzo, concetti-scudo dietro i quali c’era un’involontaria postura conservatrice rinfrescata dalle “finte purificazioni” del politicamente corretto. Il congresso ora riapre il dibattito. Che cos’è il Pd? E cosa deve diventare? Qual è - come si diceva una vita fa - il blocco sociale di riferimento?
La tappa a Mesagne ha molti simbolismi: culla di dirigenti della sinistra, terra dal passato criminale, città della rinascita a colpi (anche) di buona movida. Il semplice ascolto è già di per sé un conforto: quanto è mancato in questi anni nel partito? Un coro: «Tantissimo». Ed è «centrale» - dice Mario Ignone, tessera Pci dal 1964: «Abbiamo messo da parte il confronto sui grandi temi che hanno contraddistinto la sinistra e la Dc, e sui quali sono diventati invece dominanti il sovranismo e il populismo. Il lavoro, per esempio: gli operai sono stati abbandonati dal partito e non ci votano più. O la giustizia sociale. Siamo persino diventati teorici della globalizzazione... Il tutto senza il coinvolgimento dei militanti e dei cittadini, che è necessario a tutti i livelli: è dal 2008 che non siamo al governo coinvolgendo gli elettori. Le proposte portate avanti non sono frutto del confronto con i dirigenti dei territori, ma di un ristretto gruppo di dirigenti che decidono tutto per tutti». Enzo Rubino, altro storico militante, va subito nel merito: «La sanità, per esempio: Mesagne aveva un ospedale favoloso, il sistema sanitario è stato impoverito per scelte sciagurate di personaggi che hanno scelto di fare salotto invece di stare tra la gente.

Quando dalle sezioni del partito segnalavamo cosa non andava, non venivamo ascoltati. Eppure i problemi sono sotto gli occhi di tutti. Il risultato è un sistema incancrenito e la perdita d’identità. Eppure i temi su cui puntare ci sarebbero: le fasce deboli, i lavoratori, un patto con gli industriali per creare occupazione, i giovani, l’agricoltura. Nel rispetto di regole e legalità».

La forma-partito, l'etica pubblica e gli "emiri"

Questione di priorità. E di metodo. Damiano Franco è stato sindaco e vicepresidente della Provincia: «Un partito di sinistra è indispensabile. Ci sono milioni di lavoratori persi nell’astensione, nauseati, che hanno bisogno di essere rappresentati». «Sovranismo, populismo... se proponiamo questo lessico a un passante, ci guarderà stranito. Non ci mancano idee e programmi, ma devi farli vivere quotidianamente, con passione e intelligenza, deve essere qualcosa che si umanizza. Altro punto fondamentale è l’etica pubblica, oscurata troppe volte: deve essere un fondamento». Concetto rimarcato anche da Clara Bianco, dirigente scolastica in pensione: «Come diceva Gaber “qualcuno è comunista perché Berlinguer è una brava persona”». Altro ex sindaco: «La crisi - riflette Franco Scoditti - è complessiva, i partiti non esistono più, la stessa società ha perso il senso di comunità. E un partito di massa come il Pd ha subìto più di tutti questa profonda involuzione». Giuseppe Giordano insiste sul punto: «I partiti in senso classico garantivano elaborazione di idee tramite il dialogo interno. Ora sono strutture in mano ai più forti, a degli emiri come Emiliano. Mi dite chi ha votato Lacarra segretario? Eppure determina le candidature, in una notte hanno fatto fuori una brava persona come Stefàno. Andrebbero ricostruite innanzitutto delle strutture nelle quali confrontarsi e affrontare i problemi, anche grazie al contributo di chi come noi vive, percepisce ed esamina le difficoltà dei cittadini». Fioccano i nomi e gli atti d’accusa, quindi. Fabrizio De Leo vota Pci da quando aveva 18 anni: «Ci siamo ritrovati una classe politica gratificata ben oltre i meriti. Lacarra, o penso a volti nazionali come Serracchiani, che mi ritrovo in tutte le trasmissioni a farci perdere percentuali. Parlano di rinnovamento, ma dovrebbero scomparire tutti, aprire le finestre del partito». Schlein è il nome che ricorre più spesso, nei discorsi di tutti, ben più di Bonaccini o Cuperlo: «Una speranza di rinnovamento. Viene però da chiedersi perché al suo fianco ci siano Franceschini, Boccia, o in Puglia Capone, che sta sempre lì. I personaggi buoni per tutte le stagioni vanno allontanati». Aggiunge Scoditti: «Ecco perché vediamo nella Schlein una possibilità di rottura. Un po’ come fu con Vendola». Non è solo questione di figurine, ribadisce Franco: «Abbiamo votato parlamentari turandoci il naso, senza conoscerli. Ma così si svuota la militanza: si snatura il partito sui territori, che non contano più nulla sui temi e sulle candidature». Tutti da buttare? Quasi: «Chi vedo con simpatia - ammette Bianco, non smentita dagli altri - è Decaro, sembra avere davvero a cuore il benessere e l’interesse dei cittadini».

«Troppo politicamente corretto»

Come uscirne? La destra ha vinto anche scippando parole d’ordine alla sinistra. Che viceversa s’è infatuata d’altro, parere unanime e voci assortite: «I diritti civili sono importanti, indubbiamente. Ma su quei temi occorre molta attenzione e il vero pilastro sono i diritti sociali e i problemi che la gente sente davvero sulla propria pelle», «un errore puntare in campagna elettorale su fascismo-antifascismo», «forse ci siamo preoccupati troppo del politicamente corretto», «e quel “io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono italiana, sono cristiana” fa presa. Meloni poi ci mette passione, dà dimostrazione di credere in ciò che dice». Piano con le alleanze, prima c’è una sinistra da ricostruire, «anche perché populismo e sovranismo stanno perdendo la loro forza»: «I cinque stelle nascevano sull’onda del populismo, ma abbiamo visto quanto valgono. Conte di sinistra? Si faceva fotografare con Salvini...». 


Nel viaggio al termine della notte Pd c’è il volto di Giuseppe Rossetti: il nonno era un contadino – ricordano in sala – fedelmente tesserato del Pci. Lui, il nipote 25enne, s’iscriverà in questi giorni: «Sono stato deluso da subito dal M5s, dopo averli votati. A Mesagne il Pd è presente, è sul territorio, e Schlein può riavvicinare noi giovani. Soprattutto grazie all’impegno in difesa dell’ambiente». Idee calde, per un partito troppo freddo.

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