Viaggio nei circoli Pd/A Bari Madonnella: «I valori alti e le piccole cose senza andare più a rimorchio»

Nel circolo di Madonnella, che dopo il congresso “ingloba” tutti quelli del Municipio I Un tempo la città è stata il fulcro della Primavera pugliese, ben oltre il dato elettorale L’identità, il territorio, i quartieri. E Decaro ed Emiliano sullo sfondo (con differenze)

Viaggio nei circoli Pd/A Bari Madonnella: «I valori alti e le piccole cose senza andare più a rimorchio»
di Francesco G. GIOFFREDI
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Lunedì 20 Febbraio 2023, 01:08

Un tempo, qui, era tutto o quasi tutto Primavera pugliese. Un tempo, qui a Bari, la sinistra era presidio culturale oltre la conta elettorale, era connessione sentimentale al di là di potentati e pacchetti di voti, era passione calda e non gelido e smarrito timore, era mobilitazione intellettuale e popolare, i grandi ideali e il piccolo cantiere. Era, insomma, tutto quello che il Pd doveva essere, ma che di certo da tempo non è e chissà se lo è stato, mentre lì fuori il congresso “costituente” è uno specchio rotto in mille pezzi che interroga senza risposte nitide.
A Bari la crisi d’identità del Partito democratico vive una surreale dualità: almeno alle amministrative e alle regionali vince e talvolta stravince, ma ha comunque un’anima pallida e impalpabile. Della fu Primavera pugliese, prodigio sociale prima ancora che politico, è rimasto “solo” il residuo elettorale: non è poco, ma non è tutto. Ed è questo l’ingombrante “non detto”, lì sullo sfondo, che tormenta silenziosamente le analisi al circolo Pd di Bari Madonnella, a un passo dalla ruota panoramica che fende il lungomare. Il circolo, novità recente, ingloba adesso tutti gli avamposti Pd del Municipio I, molti dei quali senza più sede, e dunque anche Murat-San Nicola, Japigia e Libertà. Quasi 400 tesserati e un nuovo inizio, ceto medio riflessivo e non solo: la quarta tappa del viaggio nei circoli Pd è proprio durante la prima assemblea a ranghi misti e col segretario appena scelto, Nico Battista. Che infonde pragmatico ottimismo, «il circolo aperto, anche a eventi culturali», dice, e poi gli incontri tematici «per un’idea di sviluppo del quartiere e della città», mettendo sul piatto idee concrete anche grazie al supporto di giovani professionalità, dall’architetta all’esperto di mobilità.

Alta politica e piccole cose


Ecco, il punto è anche questo e i militanti baresi lo ribadiscono: «alta politica e piccole cose», sintetizza qualcuno, «essere in questa società», i valori e l’identità e però anche i disagi di prossimità e le fragilità dietro l’angolo. C’è un filo da riavvolgere. Nessuno lo evoca, ma qui va insomma scacciato via il fantasma del “Pd della Ztl” chiuso, elitario, disconnesso. Nella sala che dagli anni ‘60 ospita il partito (allora il Pci) c’è un murale restaurato di recente, qualche manifesto d’ordinanza, una foto di David Sassoli. Era il circolo dove s’affacciava, anche solo per votare alle primarie, Franco Cassano, e tutto in qualche modo si tiene, in un’eco lontana ma forse non del tutto sopita: l’Ecole barisienne, i fermenti, lo “stare nelle cose”, la Primavera. Perché in fondo c’è un patrimonio di fiducia dal quale ripartire: «Il Pd è il partito col maggior numero di sottoscrizioni del 2 per mille – riflette il professor Antonio Troisi – siamo al 36%, vuol dire che c’è fiducia, ma allo stesso tempo che siamo stati puniti». Bisogna allora riagganciare i temi, per esempio «l’autonomia differenziata, senza limitarsi ad aderire alle iniziative della Cgil», «dando risposte a chi ci vuole bene, ma è rimasto deluso». È questione, innanzitutto, di presenza: «Il partito – denuncia Alberto Carone – è assente dalla vita della città e dal dibattito. Non ci sono nemmeno iniziative, anche solo un volantinaggio. E il tesseramento va fatto nei circoli, non al telefono o sui social», «non si discute mai del merito dei problemi e non c’è mai una riunione con i parlamentari eletti che spiegano cosa votano, perché, quali provvedimenti: ci ignorano, ma non li stimoliamo nemmeno. E quando si fanno vedere, sono solo discorsi di circostanza». «Non vogliono esser infastiditi...», chiosa amaro il neo tesoriere Massimo Damiani. Le stoccate al gruppo dirigente non mancano: «Il partito - dice Paola Bozzani, Città vecchia - è ripiegato nella lotta interna tra correnti. E così la ricaduta pesante è a tutti i livelli, non vengono nemmeno riconosciuti i segretari cittadini... e alla fine mancano organizzazione interna di partito, iniziative esterne e capacità di comunicare ciò che viene fatto». Nei discorsi Antonio Decaro e Michele Emiliano, i due leader-locomotiva, restano in retrovia, quasi in dissolvenza. Con le dovute differenze: il primo è «l’amato sindaco», il governatore suscita invece imbarazzati mal di pancia «e ci fa arrabbiare» («Il migliore? Vendola», si leva dalla sala: ancora retaggi di Primavera).

 

Parole d'ordine


Carmela Montagnolo viene da Japigia e va come un treno: «Durante l’enfasi grillina, ci chiedevano “e allora il Pd?”. In effetti, nessuno sapeva cosa effettivamente facesse il Pd: le conquiste c’erano, ma fatte da un’oligarchia che non ha saputo renderle visibili ai cittadini, il primo errore è stato di comunicazione. E poi non abbiamo parlato più ad alcune fasce sociali: gli operai non si rivolgono più al nostro partito, sono abituati a farlo con chi dà loro anche solo un’opportunità. Ora dobbiamo darci un’idea, una visione diversa di società, col coraggio di parlare ai giovani allontanati pure dalla scuola. E non dobbiamo avere paura di alcune parole, una per esempio...La dico?». La dica: «Ordine: non è patrimonio solo della destra, tutti i cittadini hanno il diritto di sentirsi sicuri e rispettati». Enrico Uva è sulla stessa linea: «Il Pd non è capace di parlare alla pancia della gente, non sa dire cosa fa e cosa non fanno o fanno male gli altri. La destra ha invece trovato una figura carismatica che riesce a comunicare, ed è ciò che manca a noi». Il fattore della «partecipazione» è però un tesoro «da valorizzare», secondo Piero Recchia, operaio ed ex sindacalista Cgil: «Il partito ci ha dato la capacità di leggere i processi e di partecipare, c’è bisogno di un riferimento così.

Le ferite restano, ma Letta ha ragione quando dice che alle elezioni è andata meglio di quanto si pensasse. Ora ci vuole gente che ha voglia di fare, basta con gli incarichi assegnati col bilancino: ci vogliono “gambe” e chi alza la saracinesca dei circoli, e se ci sono dei giovani si prova e si dà fiducia».

Identità, valori, progetto


In tanti sollevano il tema bollente dell’identità, dei valori. Augusta Tota fa parte della Consulta per l’ambiente ed è stata coordinatrice degli Ecodem, «che non ci sono più ed è una cosa negativa. Avevamo professionalità competenti, ora abbiamo regalato la battaglia ambientalista ai cinque stelle o a chi fa populismo», «il partito è assente, deve ritrovare l’identità senza lasciarsi prendere e trascinare dall’alleato che porta i voti. Abbiamo dei valori precisi, sono nello statuto, e su quelli dovremmo insistere. Penso al tema delle ingiustizie sociali, come nel caso della flat tax: abbiamo perso molti voti di chi si è lasciato imbrogliare dalle false promesse della destra, dovremmo essere più chiari». Ad Angelo Stancarone piace un appellativo più degli altri: «Progressisti, contrapposti ai conservatori. Sono lì i nostri valori: progredire, senza guardarci indietro, smettendola di pensare alle radici personali e concentrandoci sul nuovo fogliame». Il nodo delle «analisi del sangue» (le chiama così Ottavio De Gregorio) affiora qui e lì, la fusione fredda del Pd è tema latente. E ricorre spesso il bisogno di «visione» e di un «modello di società»: «Così si batte la destra», dice Anna Rossiello, «evocare il pericolo fascista non basta, altrimenti si va avanti solo per slogan».

La base e le periferie


E poi ci sono le fondamenta, letteralmente. La «base» è parola che piace. «Bisogna ripartire - argomenta Pio Meledandri - dal tessuto dei quartieri, tra la gente, condividendo lo scambio di idee e vivendo la città e promuovendo incontri tematici anche con le associazioni. A cominciare da quelle ambientaliste». Non solo: «Si deve ritornare alle preferenze, così si obbligano i parlamentari a parlare con i circoli e con i quartieri. Guardate la Lega: è un partito presente nei territori del Nord». Sulla «importanza dei corpi intermedi» insiste anche De Gregorio: «La capacità di ascolto è centrale, e non c’è più». Segue elenco di esempi, minimi e però fondamentali: Pane e Pomodoro e la fogna a Picone, le strisce pedonali e l’illuminazione pubblica, «proposte e iniziative su piccoli problemi popolari che devono essere affrontati qui al circolo». Ci sono distanze da colmare e c’è un partito che deve marcare stretta innanzitutto la quotidianità. «Dobbiamo tornare a essere riferimento dei cittadini, attirarli parlando di ciò che sta concretamente a cuore», rincara la dose Rossiello. Prova a fare sintesi Damiani, tra i più giovani: «Il ritorno ai territori, l’ascolto di persone e associazioni anche andando fuori di qui: non possiamo sperare che la gente venga al circolo a dirci che siamo i più bravi del mondo. E basta nostalgia del passato, aree, correnti: dopo i congressi dovremmo dare l’esempio a chi è sopra di noi e cambiare passo». Un’altra Primavera verrà, forse, prima o poi. Ma non potrà che sbocciare dalla silenziosa fatica di chi apre la porta e accende le luci dei circoli.

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