«Me lo facevano apposta a parcheggiare le loro auto davanti casa mia. Ho sbagliato»

«Me lo facevano apposta a parcheggiare le loro auto davanti casa mia. Ho sbagliato»
di Valeria BLANCO
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Domenica 30 Settembre 2018, 05:53 - Ultimo aggiornamento: 10:05

«Me lo facevano apposta a parcheggiare le loro auto davanti casa mia. Ho sbagliato, non voglio essere difeso, pagherò, ma dovevo mettere fine a questa storia».
S'intravede una lucida follia nelle parole pronunciate a caldo da Roberto Pappadà nel corso dell'interrogatorio che si è svolto nella notte, in caserma, dinanzi al magistrato di turno Donatina Buffelli. L'uomo, che non ha posto resistenza all'arresto, ha confessato di aver ucciso di proposito Andrea e Franco Marti e Maria Assunta Quarta per screzi di vicinato legati al parcheggio in via Tevere, dove l'omicida e le vittime abitavano rispettivamente al civico 18 e 3, proprio di fronte l'uno all'altro. Pappadà, che ora si trova nel carcere di Borgo San Nicola, a Lecce, è accusato di triplice omicidio pluriaggravato da futili motivi e premeditazione.
Nell'interrogatorio, che si è svolto alla presenza del suo legale di fiducia, l'avvocato Nicola Leo, Pappadà ha ricostruito in maniera lucida tutti i passaggi che hanno portato agli omicidi, spiegando che il vaso era ormai «sbatterrato», cioè pieno fino a traboccare dopo aver subito per un anno e mezzo quelli a suo giudizio erano continui abusi. Ha raccontato quindi di essersi procurato per prima cosa una pistola: da chi e per quali canali è ora oggetto di indagini da parte dei carabinieri della compagnia di Maglie, dal momento che l'arma è risultata non censita e detenuta illegalmente.

 

Pappadà ha raccontato di aver attesto l'arrivo di Andrea Marti, che attorno alle 23 rientrava da una festa insieme con la convivente Simona. Quando i due sono scesi dall'auto, avrebbe estratto la pistola e invitato la donna ad allontanarsi, perché lei non c'entrava niente. Poi ha esploso due colpi da una distanza di quattro metri, colpendo il giovane alla testa e al petto. Quando poco dopo è arrivata l'auto con a bordo il padre del giovane, Franco, insieme alla moglie, alla sorella di lei e al cognato, ha fatto nuovamente fuoco. Dei quattro è rimasto illeso solo il cognato, mentre la madre di Andrea e moglie di Franco, colpita di striscio da una pallottola, è stata portata in ospedale e giudicata guaribile in 15 giorni.
Ai militari che lo hanno trovato nei paraggi, non ha opposto resistenza. Su via Tevere intanto sono arrivati, oltre ai carabinieri della compagnia di Maglie, anche il comandante provinciale dell'Arma, colonnello Gianpaolo Zanchi, che ha parlato di «un movente inquietante, legato a cattivo vicinato». Presenti anche gli agenti del commissariato di Otranto e i vigili del fuoco. Secondo i residenti della zona, Pappadà non era una cattiva persona: forse un po' burbero e magari poco socievole. Non il tipo, insomma, con cui ci si poteva prendere un caffè in piazza. Ma nessuno avrebbe potuto sospettare che nell'animo di quell'uomo introverso, che assisteva la sorella malata, covasse quell'odio che lo ha portato a trasformarsi in un assassino.
 

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