Intervista a Cotroneo: «Scrivere un libro, il sogno più bello»

Intervista a Cotroneo: «Scrivere un libro, il sogno più bello»
di Claudia PRESICCE
3 Minuti di Lettura
Giovedì 7 Agosto 2014, 11:16
Se leggere è come vivere tante vite, scrivere è come raccontarsi com’è andata, riguardare e rimescolare le carte guardandole da una prospettiva esterna.



“Il sogno di scrivere” (Utet; 14 euro) è l’ultimo libro di Roberto Cotroneo in cui, lo scrittore di “Otranto”, teorizza l’importanza di mettere nero su bianco le nostre vite, partendo da due idee: tutti sognano di scrivere ed è giusto che il sogno di realizzi. Da ricordare che in Puglia (il fenomeno tuttavia è generale) si registra una sorta di exploit di romanzieri, come dire, dilettanti, che non esitano a pubblicarsi un libro a spese proprie.



Cotroneo cominciamo dall’inizio: perché abbiamo tutti questo sogno?



«Perché siamo abituati a raccontarci la nostra vita come se fosse una storia e perché tutto passa dalla possibilità che si possa raccontare. È quindi naturale che quando riusciamo a pensare a noi stessi e alla nostra vita attraverso la modalità della narrazione abbiamo anche voglia di mettere su pagi- na il racconto di cose che ci appartengono».



In realtà poi si scrive più di quanto si legge. L’altra faccia della medaglia è il surplus di pubblicazioni, sfornate di continuo, non sempre meritevoli. È un bene o un male per la letteratura?



«È assolutamente ininfluente, perché in realtà pubblicare non è la stessa cosa che “pubblicare a pagamento”. Chi lo fa pagando è uno che pensa di raggiungere una fama letteraria, non paga chi vuole davvero esprimere se stesso. Publishing, Amazon, gli e-book e in genere tutto quello che permette di pubblicarsi da soli in formato digitale hanno eliminato certe speculazioni che facevano spendere soldi inutilmente alla gente facendosi pubblicare da editori non veri. Da questo punto di vista la situazione è migliorata e non ci sono come un tempo tanti libri finiti al macero senza vendere una copia. Oggi la gente se vuole scrive e può pubblicare su internet, poi alla fine se ti leggono meglio, altrimenti fa niente».



La voglia di scrivere nasce spesso da bambini. Nel libro racconta anche l’atteggiamento dei genitori di un tempo rispetto alle aspirazioni artistiche di un figlio rispetto ad oggi



«Sì, è molto diverso. Una volta la parte creativa della vita era considerata una cosa per eccentrici, lo scrittore era un signore fuori dalla normalità del- la vita. Oggi la creatività è un valore importante in tutti i settori, anche in mestieri meno creativi, siamo più esigenti. La creatività è “al centro” e i genitori quindi mandano i figli a danza o teatro per nutrire il loro lato creativo. Un tempo non era così».



Certo, c’è però da dire che spesso oggi l’idea di artista ruota intorno all’idea di successo



«Sì, c’è anche quello, basti pensare ai talent»



Scrivere però, dice lei, fa bene alla salute



«È una pratica assimilabile allo yoga, come fare cose che aiutano a conoscersi meglio, a capirsi, a riflettere su quello che si è stati e che si è. È molto simile a una forma di meditazione, di introspezione, ha un legame stretto con l’interiorità. Lo si capisce sempre più e anche per questo mol- ti sognano di scrivere. Si tratta allora di avere coraggio e non farsi intimidire da chi dice che scrivono in troppi, sapendo che, come chi studia musica non punta a diventare un grande concertista, non si creerà un best seller».



Si impara a scrivere, ma il talento si insegna?



«Il talento è difficile impararlo da altri, ma le scuole di scrittura possono insegnare a commettere meno errori e ad essere meno ingenui. Come spiegare a chi impara a guidare a non tamponare quello che ha davanti: poi se uno diventa un pilota è solo per una sua dote».



Scrivere per se stessi è diverso dallo scrivere per pubblicare?



«No, si scrive perché si ha un conto da saldare, per una grande passione. Poi, trovare dei lettori è importante, ma viene dopo. Prima c’è la volontà assoluta di raccontare una storia».



Il rapporto con i luoghi per uno scrittore è importante. Lei piemontese lo vive con il Salento: perché?



«Sono nato in Piemonte da genitori di origini meridionali che non avevano più rapporti col Sud dagli anni Trenta. Dopo essere cresciuto tra Alessandria, Torino e Milano, ho avuto bisogno di ritrovare le mie radici meridionali da qualche parte e il Salento è diventato il mio Sud ritrovato. Ho riconosciuto il Salento come luogo di ritorno della mia vita e, anche se i miei non erano salentini, il mio Sud è questo».
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