Mogol, il mio canto libero per la bellezza del Salento

Mogol, il mio canto libero per la bellezza del Salento
di Giuseppe TARANTINO
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Domenica 7 Settembre 2014, 00:29 - Ultimo aggiornamento: 11:05
NARDO' - Mogol, la “leggenda”, il Maestro della musica italiana, sul palco del Premio Battisti, nella piazza barocca di Nard, abbraccia Franco Simone, che ha appena letto i versi che scrisse subito dopo aver appreso la notizia della morte di Lucio Battisti. Si abbracciano commossi. E abbracciando il cantautore salentino, Giulio Rapetti Mogol è come se stringesse tra le braccia l’intero Salento.

Il pubblico di migliaia di turisti, appassionati e ammiratori arrivati da tutta la regione per poterlo vedere da vicino e che già lo aveva salutato ad inizio serata tributandogli una spontanea “standing ovation”, si scioglie ancora una volta in un applauso scrosciante e affettuoso.

Questo gesto semplice di amicizia riassume il senso di questo nuovo incontro tra il più grande autore di testi della canzone italiana e la terra salentina.

Una terra che Giulio Rapetti, già agli inizi degli anni ’70 aveva scoperto quasi per caso, durante una delle sue tante “esplorazioni” da perfetto “mogol” (il generale delle disneyane Giovani marmotte, Qui, Quo e Qua, dal quale ha preso il soprannome, ora diventato a tutti gli effetti di legge anche il suo secondo cognome) in giro per l’Italia, e della quale si era innamorato immediatamente, tanto da decidere di abitarla e viverla.

Lo ha appena raccontato ai presenti, seguendo dal palco l’intero concerto come un vero e proprio “maestro di palcoscenico”, e lo conferma, parlando con chi scrive, questa sua storia d’amore, a tratti anche dolorosa, con il mare e la terra del Salento.

«Nel Salento ho vissuto tre o quattro anni –racconta - Mi ricordo che venni proprio a Nardò per accompagnare il mio amico Mario Lavezzi e chiesi di arrivare fino alla costa e al mare per ammirarli. Davanti ad un antico castello (Torre Squillace, sulla costa neritina, ndr) vidi questa villa, una delle pochissime costruzioni allora esistenti nella zona bellissima e incontaminata, me ne innamorai subito tanto che decisi di acquistarla. L’ho abitata per alcuni anni, Lucio venne a stare con me una sola estate. Ero completamente conquistato da questa terra: avevo trovato la casa della mia vita».



Mogol visse e scrisse, con Battisti, in quella villa sul mare neritino. Su quali capolavori siano nati in quella casa, però, lascia adagiato il velo della leggenda, anche se il periodo di permanenza, dal 1971 al ’74, fa pensare che, con molta probabilità, siano alcuni dei brani compresi negli album “Umanamente uomo: il sogno”, “Il mio canto libero”, “Il nostro caro angelo”. E quindi canzoni come “I giardini di marzo”, “E penso a te”, “Comunque bella”, o “Le luci dell’est”, “Vento nel vento”, “Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi”, “Il mio canto libero” e, forse, “La canzone del sole”.

In ogni caso, Mogol in quel posto davanti al Mar Jonio ci sarebbe rimasto per sempre. Lo sentiva davvero come se fosse casa sua: «tenevo in ordine e pulita la spiaggia -continua- e avevo fatto mettere anche dei paletti con delle catenelle su alcuni sentieri per impedire che i bagnanti arrivassero a parcheggiare le loro auto sulla sabbia, praticamente sul mare. Mi ricordo che i contadini che vivevano da quelle parti dicevano in giro, un po’ infastiditi: “Don Giulio ha ncatinatu lu mare” (“Don Giulio ha incatenato il mare”, lo dice in perfetto dialetto salentino, ndr). Ma lo avevo fatto per proteggere la bellezza di quel luogo».

Poi, però, nel 1974 quella casa l’ha venduta. Qualcosa aveva spezzato l’incantesimo.

«Era successo –racconta- che, nel giro di un anno, quella villetta l’ho ritrovata circondata, aggredita, da bruttissime case, dei cubi di cemento, che venivano costruiti abusivamente nel giro di una notte. Quel posto bellissimo e incontaminato non c’era più, distrutto dal disordine, dall’abusivismo selvaggio e coperto da cumuli di spazzatura. Protestai, andai a parlare anche col procuratore, ma ormai era tutto cambiato, non era più un posto per me e dovetti andarmene. Con grande dolore».

Si emoziona Mogol, quando parla della bellezza della natura e della assoluta necessità di preservarla. Il Re Mida della canzone italiana con un animo profondamente ambientalista: «Io molto spesso nelle mie canzoni –dice- ho parlato di ecologia. L’ho fatto non perché era di moda, non per ragioni politiche. L’ho fatto perché ho provato dolore nel vedere il mare cambiare colore».



Quel mare, una volta chiaro e trasparente, oggi diventato nero. «Se io avessi potere in questo paese –continua quasi arrabbiato- abbatterei tutte le brutture esistenti lungo le coste, dando magari la possibilità ai proprietari di ricostruire lontano dalle coste e sempre con grande attenzione alla qualità. Non si possono distruggere paesaggi meravigliosi solo perché non si è capaci di costruire cose belle. Mi dispiace che il mondo che ho vissuto io non lo possano vivere anche i miei figli e i miei nipoti». Dal un palco nel cuore antico di una città del Salento, Mogol scrive, così, un vero e proprio inno alla bellezza.

Bellezza, preservata e coltivata. Come si deve fare con il talento che ognuno possiede. È questo concetto che spinge ancora oggi Mogol, dopo tanti anni, dopo il lungo e fortunato sodalizio con Lucio Battisti e dopo tante soddisfazioni, a continuare nelle sue esplorazioni artistiche. A cominciare dai giovani che sono il futuro. Su questo, ci tiene a dire subito come la pensa: «Non è vero che ci sono persone che hanno talento e altre no. Tutti abbiamo la possibilità di avere talento. Bisogna però coltivarla questa possibilità, con grande serietà. Servono docenti che sappiano coltivare, come bravi contadini, questa terra che può dare frutti meravigliosi. Noi nasciamo “terra non coltivata” e solo il lavoro e la competenza può portare frutti».



Per questo oggi, la sua vita è il Cet, Centro Europeo Toscolano, prima scuola di perfezionamento musicale che forma, con sistemi didatti innovativi, nella professione e nell’individualità, le nuove generazioni di artisti: «Da noi, in quasi vent’anni - dice - si sono diplomati 2.500 ragazzi, autori, compositori, interpreti. Il talento, senza impegno e sudore non vale nulla. Solo con lo studio, l’impegno, il sudore, si può diventare un artista credibile. Il problema è la promozione che non si indirizza più sulla qualità, quanto invece sul profitto immediato. Per cui oggi è molto più difficile di una volta che qualcuno, anche bravo, possa avere successo. Serve la competenza. Per questo, fondando la scuola del Cet, che non mi fa guadagnare nulla, penso di aver fatto la cosa più importante della mia vita».

Continua a “coltivare la terra” e i talenti, Mogol. Continua a insegnare, a formare le nuove generazioni. «Servirebbe un Maestro come lei anche per questa terra e per la cultura di questa terra», gli dicono ammiratori che lo avvicinano nel dopo concerto. Forse servirebbe davvero al Salento un maestro come “Don Giulio”, l’uomo arrivato dal nord che voleva incatenare il mare salentino. Per salvarlo.
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