Il racconto choc in tribunale: «Mio maritò mi cavò gli occhi, mia figlia di 12 anni mi salvò la vita»

Da sinistra i giudici Simone Orario, il presidente Maurizio Saso e Adriana Almiento
Da sinistra i giudici Simone Orario, il presidente Maurizio Saso e Adriana Almiento
di Erasmo MARINAZZO
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Martedì 13 Giugno 2023, 21:45

È arrivata al banco del testimoni con un paio di occhiali da sole neri, accompagnata dalla sua legale, l’avvocatessa Chiara Dadamo, per raccontare di quella sera del 15 marzo dell’anno scorso quando il marito cercò di cavarle - questa l’accusa - gli occhi. Ha perso la vista dall’occhio sinistro e dall’occhio destro vede poco o nulla questa donna, aiutata ancora dalla sua legale a leggere e ripetere la formula di giuramento. Questa donna che non può più vedere come crescono e cambiano i suoi due figli. Questa donna che ha testimoniato davanti ai giudici della sezione penale del Tribunale di Brindisi (presidente Maurizio Saso, a latere Adriana Almiento e Simone Orazio) nel processo che vede il marito difendersi dalle accuse di lesioni gravissime e di maltrattamenti in famiglia.

Il racconto

Ha raccontato il dramma di quei momenti ed ha svelato di avere temuto per la sua vita e che a salvarla fu la figlia allora 12enne: «Riuscì ad aprire la porta della camera matrimoniale, nonostante lui l’avesse chiusa a chiave. Si scagliò addosso al padre e gli urlò: “mostro”. Poi chiamò il 118 e i carabinieri. Mio fratello mi riferì di mio marito che l’aveva chiamato per comunicargli l’intenzione di ammazzarmi».
Quel dramma, quella sopraffazione di una donna madre di due figli si sarebbe consumata - il compito del processo è stabilire la verità - in una casa di Carovigno dove da tempo quei coniugi non erano più una coppia e dove per 15 anni quella donna avrebbe subito violenze ed angherie. Anche di natura sessuale, tanto da indurre il presidente del collegio giudicante a disporre la celebrazione dell’udienza a porte chiuse.
Un esame della vittima protrattosi per ore, fino alle cinque di pomeriggio per risponde alle domande del pubblico ministero Giovanni Marino, del presidente Saso, degli avvocati difensori Giovanni Francioso e Giulio Calabrese, nonché della sua legale. Domande che le hanno consentito di riaccendere il ricordo di quella sera in cui perse la vista e in cui avrebbe rischiato di dire addio alla vita e di lasciare i figli senza madre: «Da tempo non dormivamo più insieme, la notte restavo nella camera dei miei figli perché era diventato violento e temevo mi potesse fare del male. Quando rientrò a casa si avvicinò per dirmi perché non gli stessi chiedendo dove fosse stato, gli risposi che non mi interessava ricordandogli che da tempo ignoravo cosa ne facesse della sua vita. Uscì dalla camera per rientrare poco dopo in preda alla rabbia, per chiedermi di seguirlo in corridoio per parlare. Lì mi afferrò dalle spalle, mi trascinò nella camera matrimoniale, mi gettò sul letto e chiuse la porta a chiave. Mi saltò addosso e infilò le sue dita nei miei occhi tirando come se volesse strapparmeli via. Il dolore mi fece perdere i sensi, mi ripresi poco dopo con ancora le dita negli occhi che però spingevano dentro. Quando mia figlia spalancò la porta cercai il telefono cellulare per dare l’allarme ma non riuscivo a vederlo».
Si torna in aula l’11 settembre per l’ascolto dei carabinieri della compagnia di San Vito che hanno svolto le indagini con il pm Marino.

Intanto questa donna continua a sottoporsi a cure ed interventi in centri specializzati, nella speranza di riacquistare almeno parzialmente la vista dell’occhio destro.

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