La crisi dell'ex Ilva, produzione in picchiata e il mercato abbandona la grande fabbrica

Una veduta dell'ex Ilva di Taranto
Una veduta dell'ex Ilva di Taranto
di Domenico PALMIOTTI
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Lunedì 23 Ottobre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 24 Ottobre, 19:58

In attesa di vedere quale piega, se risolutiva o meno, intraprende il negoziato in corso tra Governo e Arcelor Mittal sul futuro dell'ex Ilva (il Governo ha detto ai sindacati che li riconvocherà entro il 7 novembre), e come evolve la fornitura di gas (AdI rischia l’interruzione a brevissimo), e in attesa dell’assemblea del 26 ottobre di Acciaierie d’Italia Holding nella quale il presidente Franco Bernabè potrebbe (o dovrebbe) dimettersi dall’incarico avendo già rimesso il mandato nelle mani del Governo, lo scenario dell’acciaio si muove. E fa capire che tutto non ruota più intorno all’ex Ilva. Anzi, più passa il tempo e più le questioni si aggrovigliano, più il sito industriale di Taranto rischia di essere marginale perché ci si riorienta e si guarda ad altre soluzioni. Nei giorni scorsi, Antonio Gozzi, presidente di Federacciai, in un’intervista a “Il Giornale” ha detto che «l’80% dell’acciaio italiano non è più Ilva, per cui, per quanto resti un polo strategico, l’impatto sulla produzione è relativo. Ilva produce molto poco rispetto al suo potenziale ma è una produzione cruciale nella filiera per la trasformazione dell’acciaio». In ogni caso, ha rilevato Gozzi, «la produzione che non è più arrivata da Taranto è stata sostituita per lo più da Arvedi, ma il resto, in particolare 2,5 milioni di coils siamo stati costretti a importarli».

La concorrenza


Ma non ci si ferma qui.

Perché nello stabilimento di Piombino, ex Lucchini e ora nelle mani di Jindal - il gruppo indiano che nel 2017 era in concorrenza con Mittal per Taranto - Metinvest e Danieli stanno trattando con Jindal per entrare nel sito toscano e rilanciarlo. Metinvest è il gruppo ucraino a cui fa capo la grande acciaieria Azovstal di Mariupol, gravemente danneggiata dalla guerra aperta dai russi. Danieli, invece, è il gruppo che, alleato con Denova in Energy Iron, si era proposto alla società Dri d’Italia per la progettazione dell’impianto del preridotto per i forni elettrici dell’ex Ilva. Ma Dri ha scelto l’altra offerta in gara, quella di Paul Wurth e Midrex, tanto che Danieli ha fatto ricorso al Tar di Lecce (se ne discute il 26 ottobre). E ora cosa vogliono fare Metinvest e Danieli a Piombino? Premesso che i due gruppi si sono riposizionati in Toscana dopo aver visto che il Friuli Venezia Giulia ha detto no al loro progetto di costruire una nuova acciaieria, a Piombino - dove con Lucchini anni addietro esisteva un altoforno poi chiuso - Metinvest e Danieli vorrebbero installare un forno elettrico alimentato con preridotto per fare i prodotti piani, cioè i rotoli di coils. Quello che fa oggi Taranto partendo dagli altiforni e che dovrebbe continuare a fare in futuro con i forni elettrici. Con AdI ai minimi termini e Arvedi già al massimo, Metinvest e Danieli hanno capito che in Italia c’è uno spazio di mercato, vista l’importazione di acciaio, e vogliono inserirsi. A Piombino i due gruppi (Metinvest investirebbe risorse proprie, si parla di un paio di miliardi, e Danieli sarebbe della partita col 15 per cento) contano di chiudere l’intesa entro l’anno e lascerebbero a Jindal un’area dello stabilimento per altre lavorazioni.

Lo stabilmento

L’ex Ilva, invece, non solo è nel guado ed ha una produzione bassissima, ma lo stesso progetto dei forni elettrici - snodo della decarbonizzazione di Taranto - registra una battuta d’arresto. Come ha detto nei giorni scorsi alla Camera il presidente Bernabè, col fatto di aver tolto dal Pnrr il miliardo di euro assegnato a Dri d’Italia per l’impianto di preridotto nell’ex Ilva e non essendoci ancora stata, da parte del Governo, «una forma di finanziamento sostitutiva», questo «ha costretto Dri d’Italia ad affidare al partner tecnologico selezionato», cioè Paul Wurth e Midrex, «solo la progettazione esecutiva dell’investimento e non l’acquisto dei materiali per avviare concretamente la costruzione. Abbiamo fermato un treno in marcia». 
Inoltre, il Rina ha spostato il progetto Hydra da Taranto a Castel Romano, al Centro sviluppo materiali, «un impianto che replica in scala ridotta i processi necessari alla decarbonizzazione», privando così Taranto della possibilità di valutare sul campo il tutto. I risultati, per Bernabè, sono i ritardi sia nella decarbonizzazione che nella costruzione dell’impianto Dri e del primo forno elettrico, con Dri d’Italia impallata e AdI gravemente in affanno. C’è poi un ulteriore elemento da considerare ed è che Genova e Novi Ligure, che oggi si approvvigionano da Taranto per le loro lavorazioni, sono sempre più orientate a staccarsi per rifornirsi e produrre autonomamente. Bernabè ha detto che «ora è troppo presto, ma quando saranno acquisiti gli stabilimenti di Acciaierie d’Italia, uno spazio di gestione diversa per Genova e Novi potrebbe essere valutato». Come dire che il tema non è infondato. E allora quale futuro attende Taranto?

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