Fabio, operaio ArcelorMittal contagiato: «Sono a casa, è la fine di un incubo»

Fabio, operaio ArcelorMittal contagiato: «Sono a casa, è la fine di un incubo»
di Alessio PIGNATELLI
3 Minuti di Lettura
Sabato 11 Aprile 2020, 08:56
«Adesso sono negativo ma ne sono uscito devastato fisicamente e mentalmente. Ho perso 14 chili, è stato un incubo. Per fortuna ho ricevuto un trattamento fantastico dai medici dell'Ospedale Moscati di Taranto che ringrazierò per sempre. Ora sto solo pensando a riacquisire un briciolo di forza». Fabio è a casa, ce l'ha fatta. Ma quel giorno in cui i sospetti di positività al Covid-19 furono confermati è ancora indelebile. Suo malgrado, è stato il primo operaio di ArcelorMittal a essere contagiato ufficialmente da quella che definisce una bestia infima.

Coronavirus, fra isolamento e produzione ai minimi: «Mittal rischia di andarsene»
Coronavirus, all'ex Ilva 1500 in malattia: controlli per chi entra nell'impianto

Era la notte tra venerdì 27 e sabato 28 marzo quando in fabbrica avvertì improvvisamente i primi sintomi. Dal reparto Produzione gas tecnici fu portato in infermeria, poi a casa in attesa del ricovero al nosocomio. E proprio lì, domenica 29, gli crolla il mondo. «Sono un soggetto asmatico quindi lascio immaginare la reazione che ho avuto quando mi dissero che ero positivo - spiega a Quotidiano l'operaio - perché purtroppo è un'infezione che colpisce le vie respiratorie. Personalmente sono sempre stato monitorato minuto per minuto, era necessaria una maschera che irrorava ossigeno continuamente affinché potessi respirare. Non sono stato intubato o posto in terapia intensiva ma comunque ho patito la devastazione che crea questo virus sia fisicamente, sia mentalmente».

Ne sta pagando ancora le conseguenze. Il virus l'ha asciugato, gli ha tolto 14 chili dal suo corpo e instillato ombre nella mente. Adesso c'è un collega della sua squadra che è risultato positivo: «Ovviamente sono solidale con il mio amico, ritengo che tutti e due nutriamo le stesse preoccupazioni per i nostri familiari - è il messaggio di Fabio - Questa è la mia priorità. Ai miei genitori non sono stati fatti ancora i tamponi e, se anche stanno bene, ciò mi preoccupa non poco. Questa è una malattia terribile e non vorrei passassero ciò che ho passato io».

Sulle eventuali responsabilità dell'azienda e su possibili falle, l'uomo preferisce non esporsi anche perché ha dato mandato al suo legale di appurare. E, in questo momento, non è in grado di immaginare un suo ritorno in fabbrica: «Ora devo pensare a finire il percorso clinico e seguire le prescrizioni. Mi attende un lungo periodo di convalescenza». Ci sarà tempo per pensare al resto, insomma. Un messaggio da inviare subito ha invece un altro destinatario: il personale medico che l'ha seguito in questi difficilissimi giorni. «Posso solo dire che sono rimasto sorpreso positivamente per la loro umanità e per come mi hanno trattato dal primo minuto» racconta Fabio. Non vuole dimenticare nessuno: «Dall'Oss fino al dirigente, passando per infermieri e medici. Tutti. Loro stanno rischiando la vita per noi con un senso di competenza e professionalità ma soprattutto passione per quello che fanno pur di aiutare chi, come me, è stato sfortunato. Senza di loro non ce l'avrei mai fatta: per me non sono eroi, quello lasciamolo ai fumetti, loro per me saranno per sempre fratelli. Per questo non smetterò mai di ringraziarli. A tutti chiedo di restare a casa, arriveranno i tempi dove ci riabbracceremo e sarà bellissimo».
© RIPRODUZIONE RISERVATA