Daniele Durante, l'artista visionario che odiava le etichette. L'ultimo saluto oggi a Melpignano

Daniele Durante, l'artista visionario che odiava le etichette. L'ultimo saluto oggi a Melpignano
di Vincenzo MARUCCIO
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Domenica 6 Giugno 2021, 09:21 - Ultimo aggiornamento: 19 Giugno, 10:36

Se a metà degli anni Settanta, anziché tornarsene a casa, fosse rimasto a Londra in attesa che anche per lui sbocciasse il punk, chissà se la pizzica sarebbe rinata. Se qualche settimana dopo non fosse andato a Melendugno a trovare Rina, la cugina di suo padre, forse oggi il Salento - la musica, la cultura, l’immaginario - ballerebbe un altro tempo. Glielo ricordavi e sorrideva. Invece, era andata proprio così, ma Daniele Durante non s’intestava rivoluzioni, svolte epocali o metafore identitarie. Come se fare la storia fosse stato un caso: era toccato a lui, ma sarebbe potuto capitare a un altro. Gli interessava averne fatto parte, tutto qui. Prendeva la chitarra per far capire che era un musicista, prima ancora che un intellettuale, e raccontava: il passato, ma senza nostalgia; la tradizione, ma senza sentimentalismi; le radici, ma senza smanciere.


Durante era una piccola enciclopedia della pizzica, ma lo ammetteva, lui per primo, che era nato quasi tutto per caso: a quei tempi il tamburello, nel Salento, lo sapeva suonare forse solo Cosimino Surdo, tra gli ultimi eredi di una genìa a rischio estinzione in quell’enclave grica che piacieva a Pier Paolo Pasolini alla ricerca di autenticità. Coincidenze misteriose con il nascente Canzoniere Grecanico - dovunque, in Italia, nasceva un Canzoniere collettivo in chiave politico-sociale - e con la riscoperta di una coscienza del riscatto declinata attraverso la musica popolare. Che nessuno - o quasi - più conosceva, né aveva voglia di riconoscere. Poi, per Durante, erano arrivati i concerti, le composizioni, i dischi e gli anni di studio: Santu Paulu, i canti “alla stisa”, gli stornelli d’amore, il reportorio corale al chiaro di luna dopo una giornata tra vigneti e piante di tabacco, le poesie di Vittorio Bodini rilette in musica, una discografia lunga come pochi altri artisti.

Nicchia identitaria, ma con le radici ben piantate. Pronte per farsi albero quando i Muri sarebbero caduti e un palco, a Melpignagno, sarebbe diventato così grande che nessuno, prima, avrebbe mai potuto immaginare quanto.

 
Durante ha sempre avuto la capacità - lui la chiamava fortuna - di farsi trovare pronto all’appuntamento con l’alba. Un’altra alba nel 1998 quando la Notte della Taranta di Daniele Sepe (primissima edizione) cominciava a muovere i primi passi tra lo sconcerto dei custodi dell’ortodossia: nasceva qualcosa e lui c’era di nuovo, saliva sul palco e suonava perché quello era il suo mestiere. Più tardi, quando sembrò essersi inabissato, era solo per mettere un po’ d’ordine nei suoi cassetti di studioso e di inguaribile curioso di repertori musicali, non certo per rinchiudersi in torri d’avorio radical chic. Punto di riferimento a cui affidarsi quando la Notte della Taranta, in questi ultimi anni di boom, è stata chiamata a confrontarsi con il nuovo mezzo televisivo con il rischio di smarrirsi: Durante direttore artistico per non deragliare dalla strada maestra tra “Aremu” e il Columbus Day a Manhattan, e per tenere dritto il timone con Uccio Aloisi in un orecchio e i nuovi formati digitali nell’altro. Mettendo insieme i tasselli di un mosaico sempre più complesso, arte e spettacolo sotto lo stesso cielo. Certe volte riuscendoci, certe volte un po’ meno. Testardo e (apparentemente) burbero quel che non guasta, autoironico quando meno te l’aspetti.


Durante sfuggiva alle etichette: gli davi del purista e ti smentiva imbracciando la chitarra elettrica, lo accusavi di “tradimento” da contaminazioni e si nascondeva nel seminterrato di Castromediano a fare il filologo. Il discorso scivolava sulla tarantella e lui pronto a rivendicarne la facoltà d’uso: «La può usare anche chi non è napoletano, c’è libertà di espressione. “Bocca di Rosa”, in fondo, è una tarantella. E lo è anche “La guerra di Piero”, sempre di Fabrizio De Andrè. Io la uso per cantare il Salento». Poi, una volta per tutte, ti prendeva e con gentile fermezza ti sbatteva in faccia la verità: «Basta con questa lotta tra puristi e contaminatori, non se ne puo più di queste definizioni di voi giornalisti. C’è solo buona musica e cattiva musica, storie vere da raccontare e storie che puzzano di falso già in lontananza». Le sue non erano mai false. Non restava che arrendersi e ascoltare. Alcune volte ti piaceva, altre volte no.  Quando suonava con Mauro al violino, suo figlio, c’era una magia particolare. Gli chiedevi di questa sua nuova composizione, ma ti rispondeva senza mai darsi un tono: «Noi rielaboriamo, arrangiamo. Non è un pezzo mio. E poi ricorda che la cultura popolare è di tutti». Non era vero, ma gli piaceva dire così.

La camera ardente per un ultimo saluto a Daniele Durante è stata allestita e aperta oggi alle 12 nel chiostro dei Domenicani, a Melpignano. Alle 17 il rito laico per l'ultimo saluto al musicista e direttore artistico della Notte della Taranta. 

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