Bungaro, autore nel nuovo disco di Ron

Bungaro, autore nel nuovo disco di Ron
di Franco GIGANTE
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Lunedì 3 Ottobre 2022, 04:55 - Ultimo aggiornamento: 12:09

C’è anche la firma inconfondibile dell’artista brindisino Bungaro nel nuovo album di Ron dal titolo “Sono un figlio”, appena uscito.
«Questo disco dà vita ai miei primi 50 anni musicali – racconta il cantautore –: è tutto nuovo, dopo il precedente di canzoni inedite e gli altri due che raccolgono la mia vita musicale, l’antologia “Non abbiam bisogno di parole” contenente 67 brani tra i miei più grandi successi: ce ne sarebbero ancora altri da mettere».
Composto da 13 canzoni e dedicato a suo padre Savino, “Sono un figlio” è il ritratto di un artista in stato di grazia, un Ron che racconta se stesso, come mai prima.

La genesi della collaborazione


«Un giorno trovai un mio vecchio diario e aprendolo ho letto questa storia che mi avevano raccontato mio papà Savino e mia mamma Maria – ha rivelato –. Mi sono sentito un figlio felice perché erano persone meravigliose, una storia bellissima, nata durante la seconda guerra mondiale, un amore gigante, i dettagli di una vita dura ma piena di sogni da realizzare: mi sono sentito un figlio vero. Il ricordo di una storia vissuta per arrivare all’amore universale». “Più di quanto ti ho amato” è firmata anche da Bungaro e questa versione dell’album è diversa da quella del singolo uscito in primavera.
«Mi piaceva così tanto ed ho provato a fare due arrangiamenti e renderli nuovi – ha confessato Ron –.

Appena Tony Bungaro me l’ha fatta sentire mi sono emozionato molto perché mi ci sentivo dentro: viviamo un tempo in cui si fa fatica ad amare qualcuno in modo intenso. Ho voluto subito cantarla: è una grande canzone, anche se non è mia, perché se una canzone è bella non vedo perché non si debba cantarla, come successe con “Una città per cantare” non mia, perché ci sono delle cose che ti assomigliano ed è giusto che siano in bocca a te».

La scoperta di Dalla e il lancio di Antonacci


Ron firmò per Lucio Dalla “Attenti al lupo” che è diventato un evergreen, dopo “Piazza grande” per Sanremo nel 1972.
«Lucio venne ad ascoltare il disco mio “Apri le braccia e poi vola” e gli feci sentire anche questa qui: mi chiese se la cantavo io e quando gli risposi forse no, perché non la sentivo molto mia, mi chiese che se gliela davo avremmo venduto un milione di dischi – ha ricordato – Lui era sempre molto esagerato sulle cifre dei dischi venduti ma poi ne vendette addirittura un milione e mezzo e la cosa fu pazzesca: ci metteva tutto se stesso, il suo talento, la sua genialità, il balletto che si inventò sulla canzone e divenne una canzone di tutti, anche dei bambini».
Si deve a Lucio Dalla anche la scelta del nome d’arte Ron, dopo l’esordio come Rosalino Cellamare. «Un giorno mi disse basta con Rosalino, non sei più giovane, mi disse che lo dovevo cambiare e che mi dovevo chiamare Ron: gli risposi che era pazzo completamente, poi mi ha convinto e il giorno dopo ero Ron». Il cantante ha nella sua carriera anche la scoperta di un allora giovane e sconosciuto cantautore chiamato Biagio Antonacci.
«Faceva il carabiniere a Garlasco e l’avevo notato su camionetta blu che mi veniva sempre dietro – ha fatto notare – Si raccomandò a mia mamma, venne a casa mia e mi disse che avrebbe preferito Concato ma che gli andavo bene comunque: scoprii una personalità di grande talento, con una simpatia veramente forte, capace di convincere, che credeva in se stesso ed ha avuto tutto il successo che merita».

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