Michela Marzano: «Femminicidi, se non cambia la cultura dello stupro sarà sempre emergenza». L'intervista

Michela Marzano: «Femminicidi, se non cambia la cultura dello stupro sarà sempre emergenza». L'intervista
di Maurizio TARANTINO
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Mercoledì 29 Novembre 2023, 07:28

«Fino a quando non cambierà la cultura dello stupro, i femminicidi ci saranno sempre e niente cambierà mai». Michela Marzano, scrittrice e docente di Filosofia all’Università Descartes di Parigi, esprime chiaramente il concetto nel dibattito innescato dalla morte di Giulia Cecchettin, sollecitando una rivoluzione culturale del pensiero, l’unico modo per contrastare episodi come quello che ha portato all’omicidio della studentessa veneta e che nelle ultime ore è costato la vita all’ennesima vittima, questa volta di Andria
 

Professoressa Marzano, il dibattito sulle ragioni dell’omicidio della giovane studentessa sono varie. Cosa ne pensa? 
«La risposta è semplice e l’ha data la sorella di Giulia Cecchettin: bisogna avviare un cambiamento culturale, spostare i riferimenti che da sempre hanno portato a considerare la donna come inferiore, cioè la cultura dello stupro, o, per dirla con un termine che è in voga in questi giorni, con il patriarcato. Solo che con questa definizione si rischia di non farci ascoltare, di restare in un ambito di nicchia, visto che è una parola che rinvia ai movimenti di liberazione delle donne tra il 1960 e il decennio successivo. Siamo arrivati ormai alla quarta generazione di femministe: bisogna usare il linguaggio dei più giovani che parlano, appunto, di cultura dello stupro». 
Si spieghi meglio. 
«È un modo di pensare tipicamente maschile: un accumulo di stereotipi, di atteggiamenti che gli uomini attuano nei confronti delle donne come retaggio antico e tramandato certamente anche ai più giovani. Ma da questo a dire che sono le nuove generazioni ad essere un coacervo di violenze, assolvendo i padri e chi li ha preceduti, mi spiace ma non sono d’accordo. Questo stesso livello di violenza e di aggressività lo si trova nella generazione dei genitori e in quella degli insegnanti cioè è qualcosa che si perpetua e che va avanti nel corso dei decenni o dei secoli se vogliamo». 
Il professor Crepet, dalle pagine di Quotidiano, ha rimarcato, tra le altre cose, la perdita di credibilità degli insegnanti con le famiglie pronte a ingerirsi nel percorso scolastico dei figli. 
«Ho letto le affermazioni di Crepet ma non sono d’accordo su nulla. Se si sposta il focus del problema sull’educazione o sul fatto che l’assassino aveva solo 22 anni, allora davvero non si capisce nulla. Se vogliamo parlare della scuola e del rapporto con le famiglie, allora stiamo affrontando un tema collaterale che c’entra poco con quanto è accaduto. Le oltre 100 vittime di femminicidi che abbiamo avuto quest’anno erano ovviamente di età diverse. E in ogni caso non è un problema che riguarda solo la società del 2023. Da sempre c’è un sistema sociale che si è basato sulla sopraffazione femminile».
Il problema, riportato al centro dell’attenzione dalla morte di Giulia, è quindi endemico? 
«Per il caso di Giulia c’è stata una particolare emozione, una tensione crescente dovuta alla fuga in macchina del fidanzato e agli altri dettagli della vicenda. Nella convenzione di Istanbul c’è scritto nero su bianco: il femminicidio e più in generale la prevaricazione contro le donne non è un’urgenza, è invece un problema strutturale della società, è un modello in base al quale l’uomo in quanto uomo si impone, accusa, attacca la donna e cerca di dominarla. Se resta in silenzio bene, se reagisce viene ammazzata». 
Quindi cosa siamo chiamati a fare? 
«Il punto è mettere in pratica un lavoro culturale, la famosa rivoluzione di cui ha parlato Elena Cecchettin, la sorella di Giulia. È un lavoro che va fatto e che non deve più essere rimandato ma è qualcosa che si sta evocando da decenni per non dire anche di più. Dopodiché invece la questione dell’educazione al rispetto va riportata al centro in tutti i campi. Prendiamo ad esempio il Me too che aveva messo in luce tutta una serie di episodi terribili, poi improvvisamente in tanti, anche di sinistra hanno iniziato a dire basta con questa caccia alle streghe e le donne hanno ricominciato a tacere». 
In Italia è più difficile combattere questa cultura per la profonda formazione cattolica del pensiero? 
«Di certo questi problemi si riscontrano anche nei paesi del nord Europa che sono di cultura protestante. Da molti il cattolicesimo viene strumentalizzato in chiave di educazione affettiva, mettendo al bando qualsiasi tentativo di cambiare le cose. Banalmente come mai nei libri di storia le donne non vengono mai raccontate? Qualcuno mi chiede spesso quali sono le grandi filosofe del passato. Per secoli le donne non avevano diritto di poter studiare filosofia dopodiché hanno iniziato a farlo benissimo, basti pensare ad Hanna Harendt, un gigante del ventesimo secolo. Iniziamo a prestare attenzione a chi abbiamo di fronte, indipendentemente se è uomo o donna, iniziamo a comportarci con rispetto e gentilezza. Forse sono queste le chiavi per cominciare a risolvere il problema». 
 

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