Senza lavoro e prospettive: vive in casa con i genitori il 71,5% dei giovani al Sud

Senza lavoro e prospettive: vive in casa con i genitori il 71,5% dei giovani al Sud
di Paola ANCORA
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Sabato 14 Ottobre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 15 Ottobre, 12:34

L’inverno demografico cammina sulle gambe dei giovani, in particolare di quelli del Mezzogiorno che nel 2041 saranno meno di tre milioni. Diminuiscono costantemente mentre la popolazione è aumentata del 3,3% dal 2002 a oggi a livello nazionale. Quella che l’Istat non esita a definire “questione giovanile” affonda le sue radici nella persistente crisi del lavoro – quando c’è, povero e occasionale o a tempo determinato – ma trova più di qualche ragione anche nel protagonismo sociale che ai giovani fra i 18 e i 34 anni viene sostanzialmente negato. 

Allarme al Sud


Al Sud l’allarme è serissimo: «Le tendenze in atto – scrive Istat nel report intitolato “I giovani del Mezzogiorno” - sembrano prefigurare criticità accentuate, che si traducono in rischi strutturali, ossia di tenuta demografica per ampie aree del Mezzogiorno», legati specificatamente «da un progressivo prolungamento dei percorsi formativi, da una tendenziale “moratoria del distacco” dalla famiglia e da un ingresso tutt’altro che agevole nel mondo del lavoro».

Temi di certo non nuovi e che, nonostante la grande importanza a essi riservata nell’ambito del Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) si fatica, ancora oggi, a vedere calati nella realtà con azioni concrete e, soprattutto, efficaci. 

Persi il 28% dei giovani


Il Sud ha perso il 28% dei giovani in vent’anni, cioè dal 2002. E si prevede che nel lungo periodo, ovvero guardando all’orizzonte del 2061, gli ultrasettantenni saranno il 30,7% della popolazione residente nel Mezzogiorno contro il 18,5% del Centro-Nord. E sebbene la giovinezza sia un’età di passaggio, la transizione all’età adulta nelle regioni meridionali avviene molto lentamente e con un percorso denso di ostacoli. Il 71,5% dei giovani maggiorenni sotto i 34 anni vive ancora in famiglia, contro il 64,3% del Nord Italia e una media europea del 49,4%. Resta a vivere con i genitori un quarto dei 37enni del Sud. E la propensione a sposarsi e metter su famiglia facendo dei figli si va riducendo progressivamente: nel 2021, l’età media al primo matrimonio era di circa 36 anni per lo sposo (32 nel 2004) e 33 per la sposa (29 nel 2004). Quella per la nascita del primo figlio continua ad aumentare, specie per le donne: 32,4 anni contro 30,5 nel 2001. 

I segnali positivi


Un segnale positivo, tuttavia, sembra esserci anche in questo quadro a tinte fosche, sempre che lo si riesca a sfruttare con politiche lungimiranti. Nelle nuove generazioni di giovani meridionali, fra i millennials (nati quindi fra il 1985 e il 1995) si rileva una progressiva estensione dei percorsi di studio. Negli ultimi anni è aumentata la propensione agli studi universitari, soprattutto al Sud: nell’anno accademico 2021-22 si sono registrati 58 immatricolati 19enni per 100 residenti contro i 56 del Centro-Nord e con un picco particolarmente vistoso nelle regioni caratterizzate dalla disoccupazione più elevata e diffusa. Ancora: 47 iscritti ogni 100 giovani fra i 19 e i 25 anni contro i 41 del Centro-Nord e 22 laureati ogni 100 fra i 23 e i 25 anni contro i 19 del Centro-Nord. 
Tuttavia, i percorsi universitari dei meridionali sono spesso più lenti e segnati da una significativa “emigrazione studentesca” sia all’iscrizione (il 28,5% dei meridionali si iscrive in atenei del Centro-Nord) che nel post-laurea: dopo 5 anni, infatti, soltanto il 51% dei giovani del Sud lavora “in casa”, nel Mezzogiorno d’Italia. «È un paradosso, ma nel medio-lungo periodo, ciò potrebbe alimentare una deprivazione ulteriore di capitale umano con competenze avanzate, indispensabile per il Mezzogiorno» scrive Istat. Perché se è vero che i millennials studiano di più, è vero anche che lavorano meno: fra i 20 e i 34 anni il tasso di attività crolla al 54,4%, sei punti percentuali meno della generazione precedente. E resta molto elevato quello di disoccupazione, pari al 23,6% contro il 9,1% nel Centro-Nord. Non a caso, dunque, un giovane del Sud ogni cinque si dice incerto sul proprio futuro.

E l’insicurezza aumenta proporzionalmente al Pil pro capite e ai livelli di disoccupazione: in Puglia si sente insicuro il 21,6% dei giovani. 
Il nodo da sciogliere, insomma, resta sempre il lavoro in un’Italia che definisce “giovani” anche i 34enni: altrove, in altri Paesi d’Europa, persone di quell’età hanno tenuto o tengono il timone di governi e partiti, di grandi multinazionali e società. Nel 2020 l’allora cancelliere austriaco, Sebastian Kurz, aveva 33 anni e in Finlandia Sanna Marin è diventata premier a 34 anni e, ancora, Emmanuel Macron è diventato presidente dei francesi a 39 anni. 

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