Fermi o mai partiti: i cantieri della crisi

Fermi o mai partiti: i cantieri della crisi
di Alessandra Lupo
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Mercoledì 5 Agosto 2015, 14:39 - Ultimo aggiornamento: 14:53

Se sentir liquidare come piagnisteo il grido di dolore del Sud può colpire duramente chi ha una sensibilità sociale più spiccata, la categoria regge invece benissimo nel dibattito politico - dai tempi e modi sempre più spicci - tra il governo centrale e chi lo accusa di avere ereditato dai suoi predecessori il disinteresse per i problemi del Mezzogiorno, che sono i problemi d’Italia e per cui si invoca da anni un intervento decisivo. Il famigerato piano Marshall, su cui nel botta e risposta seguito alla nuova picconata dei dati della Svimez è tornata nei giorni scorsi anche il ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi, nella realtà delle cose sarà assai difficile da adottare, visto che di risorse addizionali non ce ne sono e l’unico rubinetto a cui attingere saranno i fondi strutturali e quelli del cofinanziamento.

A guardare con attenzione, però, il tesoretto invocato potrebbe non essere esattamente una chimera.

Numeri alla mano, infatti, per il Mezzogiorno si parla di circa 87 miliardi di euro bloccati, ovvero in balìa della convergenza perversa di burocrazia ed emergenze, vere o presunte, che spesso hanno fatto dei fondi destinati al Sud un caveau da cui attingere indisturbati.

E a questo vanno aggiunti quei fondi che invece sono assegnati sulla carta ma ci mettono anni a diventare pietra e asfalto, infrastrutture e sviluppo.

E quindi anche lavoro per le migliaia di aziende dell’indotto sull’orlo del fallimento. Nella sola Puglia si è parlato di cantieri fermi per 800 milioni di euro, in arrivo dal Piano sud per le Infrastrutture, ancora tra parentesi, all’interno di faide amministrative tra aziende e burocrazia inceppata da problemi di procedura.

Ma la stima è prudenziale se si pensa che solo per la statale 275 che collega Maglie a Santa Maria di Leuca i milioni sono 280, finanziati coi Fondi Cipe ma poi congelati.

E altri 120 sono i milioni in attesa di essere utilizzati per il raddoppio del tratto iniziale della Bari-Taranto, 30 per l’ansa di Mirabella e 40 per lo shuttle dell’aeroporto brindisino e così via, per una lunga serie di opere, spesso immediatamente cantierabili, che una volta liberata dalle catene burocratiche o giudiziarie sarebbe in grado di fare assumere alla parola Pil un tono più amichevole. La Puglia racchiude alcuni casi emblematici di lungaggini e occasioni sprecate, una tra tutte il porto di Taranto, [FI]che a fronte di investimenti milionari arrivati con troppa calma e poi il solito slalom tra Tar e Consiglio di Stato, ha visto scappare gli operatori internazionali verso il Pireo, vedendo sfumare il sogno di diventare il più grande hub del Mediterraneo.

E che i concorrenti non stia a guardare lo dimostrano i tempi record del raddoppio del Canale di Suez. E lo stesso sta facendo la Tunisia. Ma nel cosiddetto grande Salento, che ricalca per gran parte l'antica Terra d'Otranto e vede i suoi tre capoluoghi strettamente interconnessi in termini di sviluppo e infrastrutture, nella morsa della stasi invecchiano progetti diventati bestie nere dell’immaginario collettivo, uno su tutti per l’appunto la strada statale 275, una Salerno - Reggio Calabria in salsa salentina il cui cantiere mai partito si rimanda da oltre 20 anni, sopravvivendo alle amministrazioni e alle loro differenti visioni ecologiche.

Non sta meglio la provincia di Brindisi, la più completa sotto il profilo infrastrutturale, con un porto e un aeroporto, resta in attesa del completamento del raccordo ferroviario che non solo metterebbe in sicurezza la città dai trasporti pericolosi che ora la attraversano ma sbloccherebbe anche la piattaforma intermodale permettendo al porto una maggiore competitività.

E le sabbie mobili, che sinora sembravano averlo risparmiato, hanno recentemente avviluppato anche il progetto Shuttle, il collegamento superveloce tra l’aeroporto e le stazioni di Brindisi, Lecce e Taranto, bloccato da due mesi a causa di un ennesimo contenzioso. E al lungo elenco vanno ovviamente aggiunte le “incompiute”, ovvero quelle opere inziate e mai finite che spesso si sono trasformate in ecomostri. Il primato lo detiene la Puglia, con 23 milioni di euro già spesi in interventi da terminare, ma a cui manca quasi l’altra metà dei finanziamenti.

Di fronte a tutto questo non è facile stabilire una responsabilità precisa. Ma il gioco dello scaribarile è dietro l’angolo. Di fatto la elega alla coesione non è stata assegnata e il ministro ai Trasporti e alle Infrastrutture Graziano Delrio che prima se ne occupava ha già minacciato di definanziare tutti i vecchi progetti che si trovano ancora in fase prelimiare. Per facilitare questa operazione, quindi il governo non potrà che puntare da una parte a snellire ancora le filiere del finanziamento.

Dall’altra a trovare una soluzione efficace nella nuova legge sugli appalti, che dovrebbe poter blindare l’iter dei cantieri.

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