Le giravolte di Salvini tra lotta e governo

di Massimo ADINOLFI
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Venerdì 17 Settembre 2021, 05:00

Uno-due. Prima la Camera approva in via definitiva il decreto legge che, ad agosto scorso, ha introdotto il green pass, poi il governo dà il via libera alla sua estensione. Le maglie si stringono, l’obbligo si estende, e dal 15 ottobre, secondo la bozza dell’esecutivo, occorrerà il green pass in tutti i luoghi di lavoro, pubblici e privati. Come un vecchio personaggio della banda di Arbore, Maurizio Ferrini, così fa il segretario della Lega: non capisce ma si adegua.
Non può non adeguarsi, perché un pezzo del suo partito – i Giorgetti, i Fedriga, gli Zaia – ha compreso bene la necessità, affinché il Paese non si fermi di nuovo, di spingere sulla campagna vaccinale e mettere in sicurezza il Paese. La base produttiva del Nord lo chiede, e la coerenza con la collocazione al governo lo impone. Però non capisce, Salvini, e continua a non capire, barcamenandosi tra dichiarazioni che con il voto finale in Parlamento e l’approvazione in sede di Consiglio dei ministri stridono come unghie su una lavagna.
«Usiamo il modello tedesco: niente pass, ma buon senso, educazione, regole». Il 19 luglio Salvini è in modalità bon ton. Il green pass non ha senso: al massimo allo stadio, ma certo non al lavoro o sui treni. Il resto è, al massimo, questione di etichetta. A quella data, il dibattito nel governo è già avviato.

C’è l’esempio francese, che con l’introduzione del green pass ha dato una brusca accelerata alla campagna vaccinale, e Draghi ha già lasciato intendere che quella è la strada. Due o tre giorni dopo, mentre Salvini continua a manifestare la sua contrarietà verso il green pass per i luoghi al chiuso - «a me interessa non rovinare la vita di milioni di italiani che ancora non son coperti dal vaccino» -, arriva lo schiaffo del premier, che in conferenza stampa, a domanda sulla posizione della Lega risponde: «L’appello a non vaccinarsi è un appello a morire. Non ti vaccini, ti ammali, muori. Oppure fai morire». Da quel momento in poi, il percorso è chiaramente tracciato: Salvini prova però a seguirne uno tutto suo.
Il decreto arriva ai primi di agosto, ma fino a quella data Salvini lavora per scongiurarlo. O almeno attenuarlo, annacquarlo, attutirlo. Il 26 luglio il leader della Lega fa (molto approssimativamente) due conti e dichiara: «Oggi il green pass, con i letti in terapia intensiva per fortuna vuoti al 98%, rischia di escludere dalla vita sociale più di metà degli italiani», perciò niente «imposizioni, obblighi, multe». Nella retorica salviniana di quelle settimane, il green pass è un intralcio, una punizione, qualcosa che complica la vita: un problema, non una soluzione. Perciò annuncia battaglia. A quella data: non capisce, non condivide e non si adegua.
Ma il 6 agosto deve adeguarsi, perché il governo ha deciso e la Lega deve fare la sua parte. I latini dicevano: Fata volentem docunt, nolentem trahunt. In traduzione, con Draghi al posto del fato, si ha il quadro perfetto della situazione: Draghi guida chi, nella maggioranza, si vuol far guidare; trascina invece chi non vuole. Salvini, allora, fa buon viso a cattivo gioco e alle agenzie dice che, dopo tutto, è soddisfatto: «qualcuno voleva il green pass anche per farci andare in bagno, io credo che siamo invece riusciti a togliere un bel po’ di problemi a milioni di italiani». Di nuovo: esibire il green pass per Salvini è un problema, e meno occorre e meglio è. Il governo pensa invece l’opposto: più verrà esteso, più incentiverà la vaccinazione e consentirà di tenere aperto il Paese.
Agosto corre via così, con Salvini costretto a qualche sbandata: perché sta al governo ma soffre la concorrenza della Meloni, mentre le amministrative si avvicinano. Cosa faranno i leghisti in Parlamento, in sede di conversione del decreto? Emenderanno, approveranno, si asterranno? Il 24 agosto le parole di Salvini che si leggono sui giornali sono queste: «La Lega chiede tamponi salivari gratuiti per tutti: se passa questo concetto non ci sono problemi«. Quella dei tamponi è l’ultima frontiera salviniana: non posso dire di no al green pass, non solo non trovo sponde fuori dal mio partito ma perdo anche terreno dentro, mi tengo il green pass ma chiedo almeno tamponi gratis. La Cgil di Landini è sulla stessa posizione e Salvini, dopo giornate di tensione e voti con l’opposizione, confida di poter tenere il punto. Fino all’altrieri: «Se il green pass impedisce a una mamma di portare il bambino all’asilo non sono d’accordo». Non lo impedisce, ma non importa: importa gettare un po’ di fumo, e nascondere la ritirata. E ancora: «Se c’è qualcuno a contatto con il pubblico il green pass avrebbe senso. Se c’è qualcuno chiuso nel suo ufficio che senso ha?». Per il governo il senso invece ce l’ha, e Salvini deve, senza capire, adeguarsi ancora una volta.
Pagherà questa singolare strategia di puntare i piedi e farsi ogni volta tirare a forza sulle posizioni del governo? In realtà, si tratta di tenere il piede in due scarpe almeno fino al voto di ottobre.

Poi, se la Meloni gli finisce dietro, rompe gli indugi e si mette a fare il leader dell’opposizione, come il cor gli detta dentro. E se invece la Meloni gli finisce davanti, si converte definitivamente al ruolo di governo, come glielo dettano i Giorgetti, i Fedriga, gli Zaia. Sarà più scomodo, ovviamente, ma Salvini si adeguerà.

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