«Palpeggiò una bimba nel retrobottega»: chiesti 8 anni per il commerciante

«Palpeggiò una bimba nel retrobottega»: chiesti 8 anni per il commerciante
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Mercoledì 2 Dicembre 2020, 15:52 - Ultimo aggiornamento: 16:49

Otto anni di reclusione sono stati chiesti per il commerciante di Trepuzzi sotto processo con l'accusa di avere palpeggiato e molestato un bambina di nove anni nel retrobottega del suo minimarket di Trepuzzi nell'estate dell'anno scorso.  La condanna è stata invocata per Francesco Perrone, 72 anni, del posto, dal pubblico ministero della Procura di Lecce, Giorgia Villa, ai giudici della prima sezione penale (presidente Stefano Sernia, a latere Maddalena Torelli e Giovanna Piazzalunga). La sentenza è attesa per questa sera, al terine delle arringhe dei legali della famiglia della bambina, gli avvocati Viola Messa e antonio Romanello, e dell'imputato, gli avvocati Antonio Savoia e Luigi Covella.

Perrone finì agli arresti domiciliari il 13 settembre dell'anno scorso con l’accusa di violenza sessuale aggravata dall’età della vittima. Con la scusa che avesse un abitino troppo succinto, “sconcio” - avrebbe definito l’imputato l’abbigliamento di una bambina di nove anni - avrebbe infilato le mani per toccarla. E per poi regalarle gomme da masticare, salutarla con un bacio sulla guancia e raccomandandosi di non dire nulla alla mamma. .

Due mesi e mezzo servirono agli inquirenti per svolgere le indagini senza tralasciare nulla. Nemmeno l’interrogatorio dell’indagato per avere un quadro quanto più possibile completo di cosa sarebbe accaduto quella mattina del 2 luglio del 2019 nel market.
L’inchiesta condotta dal pubblico ministero della Procura di Lecce, Maria Rosaria Micucci, e dai carabinieri della stazione di Trepuzzi raccolse le fonti di prova soprattutto con gli ascolti della bambina, dei genitori e della nonna, nonché dei testimoni.

Francesco Perrone, conosciuto a Trepuzzi come Franco, chiese ed ottenne di essere interrogato. Finendo tuttavia per aggravare la sua situazione, come rilevò il giudice per le indagini preliminari Giulia Proto nell’ordinanza di custodia cautelare: «Così come stigmatizzato dal pubblico ministero, merita di essere evidenziata l’espressione utilizzata dall’indagato che parla di magliettina “sconcia” indossata dalla minore, in quanto questa avrebbe lasciato intravedere il “seno” della piccola.

Dalle immagini fotografiche della piccola, riprodotte nella consulenza tecnica e nella trascrizione delle dichiarazioni rese, nonché dalle stesse osservazioni della psicologa, così come riportate nella propria relazione, appare evidente che...è una bambina esile e minuta. E dimostri ancora una età minore di quella reale. Lascia pertanto quantomeno perplessi l’utilizzo del termine “sconcio” e del termine “seno”, con riferimento ad una minore di così tenera età e di tali fattezze fisiche, certamente ancora molto acerbe ed inidonee a suscitare normali istinti sessuali in un maschio adulto».

Non istinti sessuali normali, ma quelli attribuiti alle persone accusate di pedofilia, vengono contestati al commerciante. La ricostruzione dell’accusa, aggravata dalle sue stesse dichiarazioni, dice che verso le otto del mattino la bambina andò a comprare un pacchetto di salviettine in quel negozio. Con lei c’era una cliente che, sentita dai carabinieri, ha confermato i commenti contestati al commerciante sull’abbigliamento della bambina. Appena questa donna andò via, la piccina fu condotta nel retrobottega. E lì con la scusa di aggiustarle il vestitino “sconcio” e di volere vedere il costume da bagno, le avrebbe messo le mani addosso e dentro il vestitino. Tempo di rientrare a casa e la bambina raccontò tutto alla madre.

Il padre raggiunse il negozio e - indicano le carte dell’inchiesta - alla sua vista il commerciante, ancora prima che aprisse bocca, avrebbe affermato: «Aspetta, aspetta, che mo’ ti spiego». Alla fine il padre gli mollò due ceffoni. Poco dopo i genitori raggiunsero la stazione dei carabinieri per sporgere denuncia. La bambina fu ascoltata pochi giorni dopo con la fono e la video registrazione, ed assistita da una psicologa. Confermò tutto, anche mimando i gesti di quello che viene descritto come il più brutto quarto d’ora della sua giovane vita. 

Ora la verità processuale dovrà stabilirla la sentenza.

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