Ai ricci o tradizionale, agli chef salentini la carbonara piace così

Ai ricci o tradizionale, agli chef salentini la carbonara piace così
di Leda CESARI
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Mercoledì 6 Aprile 2022, 21:50 - Ultimo aggiornamento: 22:06

Perché alla fine la carbonara è come la Nazionale: fa superare tutti i campanilismi, anche se poi ognuno ha la sua “formazione”.  E così, nella maratona prevista per oggi sui social per celebrarne la festa, istituita il 6 aprile di 7 anni fa, ogni chef ha detto la sua al riguardo - con dibattito su Facebook, Twitter e Instagram e hashtag #CarbonaraDay e #MyCarbonara - in una sorta di ricerca della perfezione che, naturalmente, non trova parola definitiva perché il gusto è sempre qualcosa di personale. 

Così piace agli chef salentini

Così, anche se non hanno preso parte alla festa ideata dai pastai di Unione Italiana Food e da International Pasta Organisation, che ha raggiunto in 5 anni una platea potenziale di oltre un  miliardo di persone desiderose di arrivare al punto -  carbonara canonica, fatta solo con gli ingredienti classici del piatto, o spazio alla fantasia - gli chef salentini dicono la loro al riguardo.

Per Tiziana Parlangeli, padrona di casa all’Osteria degli Spiriti di Lecce, non ci sono per esempio alternative: “La carbonara è un piatto semplice, dalla storia intricata ed incerta,  e un viaggio nel centro di Roma.

Pertanto va rispettata la tradizione senza alterarne gli ingredienti originali”. E quindi, continua la chef, 350 grammi di spaghetti, 2 uova intere e 2 tuorli,  pepe quanto basta, 150 grammi di Pecorino romano  Dop,  200 grammi di guanciale. E poi si gode.

 


In linea Mauro Zito, nume tutelare dei fornelli del “119 Restaurant & Wine Bar” di Tricase: “Per me la carbonara  è uno dei piatti-madre della cucina italiana, quindi giusto oggi cercare di ricrearla con ingredienti diversi, ma guanciale, pecorino romano e pepe non possono mancare. Perché si tratta di uno di quei piatti che la mamma ci ha sicuramente preparato da piccoli, e un ricordo dell’infanzia non andrebbe mai cambiato, ma solo perfezionato. D’altronde, perché stravolgere del tutto una specialità culinaria che ci rappresenta nel mondo? Non è un caso che l’Italia sia così famosa nel mondo per la sua cucina”. 

Grande successo riscuote però da oltre dieci anni, a Otranto, la celeberrima “carbonara di mare” del ristorante “Laltro Baffo” (senza apostrofo), dove Alessandro Panigada spiega per conto della consorte, la chef Cristina Conte, che anche le uova di riccio fanno una carbonara, in fondo: “Abbiamo provato più volte a togliere questo piatto dal menu, ma non c’è stato da fare: richiamato in “servizio” a pena di sommosse popolari”, scherza Panigada. “Non è tanto una questione di ingredienti, secondo me, ma di lavorazioni che rendono la nostra versione così buona, creando con il riccio la sensazione di morbida viscosità di una carbonara classica”.

Ma se uno è nato a Roma, invece, la scelta è obbligatoria: come per Gabriele Bilotta, neo chef del ristorante “Il vigneto” di Gallipoli, annesso a Cantina Coppola 1489: "Per me la carbonara è famiglia, è tradizione. Mio padre la preparava almeno una volta a settimana, e il mio modo di prepararla e servirla ha sempre rispettato la tradizione. Credo che il modo migliore per far esprimere questo piatto sia rispettarlo nella sua integrità”. Ed anche se oggi la dieta è tiranna e la carbonara è diventata un’eccezione, “ogni tanto concediamocela e godiamocela: con una  pasta corta, un buon pepe tostato, tanto pecorino e, naturalmente, il guanciale. Io per esempio non ce l’ho in menu, perché non appartiene al mio concetto di cucina, quello che abbiamo  scelto di perseguire ora al Vigneto, ma la preparo in casa per gli amici, per gli affetti, per me stesso".

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