Addio a Giancarlo Minicucci cronista di razza e direttore

Addio a Giancarlo Minicucci cronista di razza e direttore
di Paola ANCORA
4 Minuti di Lettura
Giovedì 24 Gennaio 2019, 13:05 - Ultimo aggiornamento: 25 Gennaio, 09:07
Sei incipit, tutti sbagliati. Tutti stonati. Sei volte è stato necessario ricominciare, tutto da capo. Perché noi di Quotidiano, della sua morte, proprio non avremmo voluto scrivere. Giancarlo Minicucci, invece, ci ha tirato un brutto scherzo: ci ha lasciato ieri, improvvisamente, dopo un malore per il quale, nei giorni scorsi, era stato necessario il ricovero d’urgenza all’ospedale di Tricase. Ha lottato, come sempre faceva, ma il suo cuore, alla fine, non ha retto. “Che sia un anno di gioia”, l’ultimo augurio un giorno prima dell’inizio di questo 2019 che se l’è portato via: il 3 febbraio prossimo avrebbe compiuto 68 anni.
Niente funerali: anche questa scelta coerente con l'uomo, con il suo carattere insofferente ai convenevoli, agli addii, al superfluo. "Che vuoi? Arriva al punto, forza". Uno scorbutico, ma solo in apparenza: "Ma che stai a fa', perché perdi tempo, perché non scrivi? Scrivi, ché tu quello devi fare" ripeteva ai giovanissimi collaboratori di un Quotidiano ancora in bianco e nero, per esortarli a impegnarsi di più, a macinare chilometri, a faticare senza risparmio per conquistare l'agognato posto da redattore. Sembra di sentirlo ancora, di vederlo, in piedi nei corridoi, in giro per le stanze della redazione, sembra di sentirlo. E, invece, sono passati vent'anni.
Ray-Ban d'ordinanza, sorriso beffardo, una mano nella tasca dei pantaloni e l'altra stretta attorno a una sigaretta accesa: Giancarlo aveva sempre tempo per ascoltare lo sfogo di un momento, il problema da affrontare, il sogno da coltivare. "Eh sì. Quando uno muore non si scrivono che cose belle nel coccodrillo, no? Tutti generosi" direbbe oggi leggendo Quotidiano, ridendo di sé, con chi scrive, con i colleghi di una vita.
La ruvidezza di cui si vestiva, quel fare spiccio, diretto si stemperavano in gesti delicati e gentili quando un suo redattore chiedeva aiuto, al giornale o fuori. Così, i lettori lo ricorderanno come direttore del Quotidiano di Lecce Brindisi e Taranto divenuto poi, con lui al timone, il Nuovo Quotidiano di Puglia. Ma per tanti, tantissimi giornalisti Giancarlo Minicucci è stato qualcosa in più del capitano di questa nave di carta e di fatti che naviga senza soste ormai da 40 anni, con ogni mare e sotto ogni cielo. È stato un esempio, uno sprone, un amico.
Un direttore - allergico ai grigi, rigoroso e appassionato - di quell'orchestra che sono le redazioni dei giornali: grandi orchestre vivaci, qualche volta litigiose, sempre eterogenee, dove convivono pensieri, idee e storie diverse. E Giancarlo, la nostra orchestra, l'ha diretta privilegiando sempre la cronaca tratto distintivo di Quotidiano sotto la sua guida -, raccontando un territorio in divenire, criticandolo aspramente, annoiandosi qualche volta dentro i confini di una provincia che, in fondo, gli stava stretta, periferia geografica e di pensiero che elesse poi a casa propria, a rifugio.
Non era uomo, e giornalista, da mezze misure: la penna, con lui, diventava rasoio. Poteva non piacere, ma non gli importava: non si è nascosto né si è mai finto diverso da ciò che era. "Non è una professione per vigliacchi" diceva a chi, a Quotidiano, muoveva i primi passi da giornalista, magari trattenendo le parole giuste la continenza è uno dei doveri di chi fa questo lavoro per paura, per eccesso di prudenza. "Fai questo mestiere con amore, ma non innamorarti di questo mestiere" ripeteva ancora, anche lui, come altri Grandi Vecchi del giornale, mai stanchi di leggere, di scrivere, di insegnare: qualcosa che ormai quasi nessuno, nell'era degli autodidatti su Facebook, si prende più la briga di fare.
Sempre pronto a consigliare, sempre presente, vicino, dietro quella maschera da indolente che tradiva il lungo periodo di vita trascorso fra il Lazio e l'Abruzzo, prima a Roma - dove è stato inviato, capocronista, capo degli Interni e caporedattore centrale del Messaggero e poi a Pescara, responsabile della redazione abruzzese del giornale romano. A luglio del 1999 l'editore Francesco Gaetano Caltagirone lo scelse poi per la direzione del Quotidiano che, in quegli anni, modificò parzialmente il nome della testata, aprì una redazione a Bari e visse la trasformazione in full color.
Nel 2009 Minicucci tornò al Messaggero da vicedirettore. Ma con la pensione lui, che non perdeva occasione di dire quanto gli sarebbe piaciuto viaggiare per il mondo, ora che ne aveva il tempo - scelse di rientrare nel Salento, prese casa a Roca: "Ci sono un mare e un silenzio magnifici" diceva agli amici che lo chiamavano per sapere come stesse lui, la moglie Santa, i figli Andrea, Matteo e Ludovica, i nipotini. "Tutto bene, me fanno impazzì" rispondeva, nonno felice con l'animo inquieto dei cronisti veri, col naso sempre all'erta per fiutare la notizia. Perché da quando aveva lasciato la prima linea del giornalismo, la sua stanza al secondo piano di via de' Mocenigo, Giancarlo ripeteva spesso che, ormai, non gli importava più nulla di questo mestiere, che mestiere soltanto non è: "È cambiato tutto, non è più come una volta". Ma in pensione davvero non ci è mai andato.
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA