Ma lei alle Poste non fa la coda?». La domanda a bruciapelo è la prima di una raffica: «E alla cassa del supermercato? Dal pizzicagnolo? E in banca, se ci va ancora?».
Con un sillogismo perfetto il taxista mi chiede: «Perché tante storie se ci si mette in coda per aspettare un taxi?». Per un poco ho temuto che il mio conducente si avventurasse in una etimologia – per alcuni plausibile – che riconduce l’origine del vocabolo internazionale, taxi, al greco taxis, che vuol dire ordine, fila, appunto. Io ero fermo alla famiglia Thurn und Taxis, che di fatto inventarono il sistema postale in Europa, utilizzando vetture di trasporto e distribuzione di pacchi e missive. La meditazione era iniziata in largo di Torre Argentina, dove non avevo mai atteso un taxi, da quando sono a Roma – ormai quasi quindici anni – e dove invece il pensiero dopo aver sostato sull’area sacra e sulla morte di Cesare, mi aveva condotto a una riflessione sul senso della parola di cui attendevo la materializzazione da venti minuti: taxi. Dall’etimologia al senso della vita il passo è breve, quando l’attesa si fa lunga. Cercare un taxi al telefono è ormai un esercizio da fachiro. Usare le app? Una favola bella, “che ieri t’illuse, che oggi m’illude, o Ermione”.
Profilo Abbonamenti Interessi e notifiche Utilità Contattaci
Logout