Bimbo morto schiacciato dal cancello: condannato il costruttore

Un'immagine della tragedia
Un'immagine della tragedia
di Erasmo MARINAZZO
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Martedì 31 Gennaio 2023, 21:20 - Ultimo aggiornamento: 1 Febbraio, 14:31

A quasi nove anni dalla caduta di quei 188 chili di cancello che schiacciarono ed uccisero un bambino di sei anni a San Vito dei Normanni, è arrivata la sentenza di primo grado. Nella serata di ieri il giudice della sezione penale del Tribunale di Brindisi, Leonardo Convertini, ha ritenuto responsabile della morte di Christian D’Agnano l’operaio che realizzò il cancello scorrevole crollato nel pomeriggio del 9 maggio del 2014 all’ingresso della casa di famiglia, in contrada Ospedale.
Per quella tragedia che sconvolse la comunità - l’allora sindaco Alberto Magli proclamò il lutto cittadino - è stato condannato ad un anno di reclusione Salvatore Lofino, 48 anni, di Carovigno. Assolto il padre di Christian, il 46enne Luciano D’Agnano. Per la madre Angela Licci e per il fratello gemello il dispositivo della sentenza ha stabilito risarcimenti rispettivamente di 310mila euro e di 197mila euro.

La sentenza


Sentenza di primo grado - è bene ricordarlo - e per questo vale la presunzione di innocenza fino all’ultimo grado di giudizio. Intanto il giudice del processo ha indicato in tre mesi il termine per depositare le motivazioni della sentenza e va da se’ - alla luce delle argomentazioni esposte nelle arringhe - che l'avvocato difensore Gian Vito Lillo  ricorrerà in appello. Attende di conoscere il merito della decisione del giudice anche l’avvocato Antonio Maurino nelle vesti di difensore di Luciano D’Agnano, nonché di legale di parte civile della moglie e del figlio, non fosse altro perché il viceprocuratore onorario ha chiesto la condanna di D’Agnano a sei mesi di reclusione ed a dieci mesi di Lofino. Esclusa inoltre la responsabilità civile della Metaltubi, come sostenuto dall'avvocato Giuliano Calabrese e per questo è stata rigettata ogni richiesta di risarcimento avanzata dalle parti civili sul presuppoisto che Lofino fosse dipendente di quella azienda.
A entrambi gli imputati l’inchiesta condotta originariamente dal pubblico ministero Milto De Nozza ha contestato l’ipotesi di reato di omicidio colposo: «Per imprudenza, negligenza e imperizia», per l’operaio.

Per avere realizzato il cancello - ha sostenuto questo l’accusa avallata dal primo grado di giudizio - provvisto di un battente di arresto non idoneo, saldato in modo non conforme e privo della gabbia antiribaltamento.


La difesa

E se l’avvocato Maurino ha sostenuto che agli atti del processo non ci fosse prova che il padre di Christian avesse messo mano nella costruzione nel montaggio del cancello, il difensorr di Lofino ha più volte sottolineato l’assenza del nesso di causalità: il cancello era stato montato a giugno del 2013, undici mesi prima del crollo. Cosa è accaduto, intanto, in quel frangente di tempo? Un bullone saltato, ruggine, la mancanza di manutenzione, il possibile uso improprio che il bambino avrebbe potuto fare quel pomeriggio mentre giocava con un coetaneo?
Nel processo - ha sostenuto la difesa - non si è formata la prova per sostenere chi avesse montato il cancello e perché crollò. Per questo, ed alla luce di due consulenze con conclusioni divergenti, è stata chiesto al giudici di emettere un’ordinanza per disporre una consulenza. In subordine è stata invocata l’assoluzione dell’operaio.
La sentenza ha detto altro, il perché lo spiegheranno le motivazioni.
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