Ex Ilva di Taranto, si rinvia. Il Cda di Acciaierie si riunirà il 28

Allarme dei sindacati: «Così rischiamo la chiusura»

Lo stabilimento siderurgico di Taranto
Lo stabilimento siderurgico di Taranto
di Domenico PALMIOTTI
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Sabato 23 Dicembre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 26 Dicembre, 19:26

Era nell’aria e così è stato. Nulla di fatto anche ieri per Acciaierie d’Italia, l’ex Ilva di Taranto, la cui assemblea non ha prodotto alcun risultato. I soci (il privato Mittal che è maggioranza e la società pubblica Invitalia, partner di minoranza) non hanno trovato ancora nessun accordo su come procedere e quindi l’assemblea ha deciso di rinviare tutto ad un nuovo consiglio di amministrazione già fissato per il 28 dicembre. 
Questo, si legge in una nota di Acciaierie, dovrà “formulare un nuovo testo di delibera da proporre all’assemblea degli azionisti a sostegno del fabbisogno finanziario della società”. 
Con il cda messo il 28, da vedere, ora, se saranno confermati gli appuntamenti indicati dai ministri ai sindacati metalmeccanici, ovvero che di Acciaierie si sarebbe parlato nell’ultimo Consiglio dei ministri dell’anno (il 28) analizzando gli esiti dell’assemblea per poi riconvocare i sindacati il 28 stesso - o, tutt’al più, il 29 - per spiegare cosa avrebbe fatto il Governo. 
Tuttavia non è escluso che qualora ci fosse nel cda del 28 un accordo tra i due soci, già nel Consiglio dei ministri della stessa giornata, che dovrebbe tenersi di pomeriggio, l’Esecutivo potrebbe autorizzare Invitalia ad impegnarsi nella nuova operazione per l’ex Ilva dopo quella fatta mesi addietro con l’erogazione dei 680 milioni. 

Cosa è successo

Un passo indietro adesso. L’assemblea di ieri doveva esaminare la delibera che il cda di Acciaierie svoltosi la sera precedente, avrebbe dovuto approvare. Un provvedimento diviso in due parti e preparato martedì in una riunione preliminare: l’aumento di capitale di 320 milioni e l’acquisto dei rami di azienda da Ilva in amministrazione straordinario. 
All’aumento di capitale di 320 milioni, i soci avrebbero dovuto partecipare pro-quota (e quindi Mittal col 62 e Invitalia col 38) entro il termine del 31 gennaio 2024 “ad un prezzo di sottoscrizione pari a 1 euro nominale per azione, con la precisazione che a ciascuna azione spetterà un diritto di voto secondo quanto previsto dall'articolo dello Statuto”.
Il diritto all’opzione, è stato inserito in delibera, “scadrebbe il 31 gennaio 2024 con un diritto di prelazione a ciascun socio sulle eventuali azioni rimaste inoptate dall’altro socio, da esercitare entro i successivi 10 giorni”.

La delibera prevedeva anche un ampliamento della compagine di Acciaierie ad altri soci. Introduceva infatti “una delega ad hoc al consiglio di amministrazione, e per esso all’amministratore delegato pro tempore, per offrire a terzi entro il 15 marzo 2024 le azioni eventualmente non sottoscritte, al medesimo prezzo di sottoscrizione di 1 euro, restando inteso che le suddette azioni offerte a terzi saranno azioni ordinarie e non azioni di categoria”. 

La delibera


Altro punto disciplinato nella delibera, l’acquisto degli impianti da Ilva in amministrazione straordinaria (che è la proprietà) da parte di Acciaierie (gestore in fitto). In sostanza, il cda avrebbe dovuto intraprendere le iniziative necessarie “per l’avveramento delle condizioni a cui è soggetta l'acquisizione dei rami d'azienda di Ilva Spa in As previste dal contratto di affitto con obbligo di acquisto condizionato del 28 giugno 2017”. 
Inoltre, l’organo amministrativo avrebbe dovuto “assumere ogni misura necessaria sia alla riduzione dell’importo netto da versarsi alle concedenti (alla luce delle pretese creditorie che AdI ha avanzato verso le concedenti) sia alla riduzione dell’esborso di cassa da parte di AdI, attraverso l'accollo di debito finanziario pre-deducibile di Ilva SpA in As o attraverso un finanziamento bancario garantito”. Infine, “potrà risultare necessario per i soci deliberare un ulteriore aumento di capitale o prestito convertibile, da sottoscriversi da parte dei soci o di investitori terzi”. 

I motivi del  "no"

Questa delibera, però, non ha mai ricevuto l’ok del cda di Acciaierie. Che giovedì non si è tenuto in quanto la parte pubblica (il presidente Franco Bernabè e due consiglieri) non si è presentata. Fonti vicine alle parte pubblica sostengono che la delibera, ripropone contenuti già respinti in precedenza.
Si è poi ritenuto inadeguato, alla luce delle critiche condizioni dell’ex Ilva, circoscrivere l’impegno finanziario a 320 milioni. 
Che peraltro è la cifra che l’ad di Invitalia, Bernardo Mattarella, traendola da un cda di Acciaierie dei mesi scorsi, indicò nella lettera spedita il 23 ottobre scorso, quando contestò ad Acciaierie e ad Arcelor Mittal di aver firmato un memorandum d’intesa l’11 settembre senza informare, né coinvolgere il partner pubblico (è il memorandum sottoscritto dal ministro Raffaele Fitto per conto del Governo e che poi esponenti governativi hanno precisato essere non un’intesa ma un possibile percorso da seguire). 
In sostanza, il ragionamento che avrebbe fatto la componente pubblica è che i 320 milioni indicavano lo stato del fabbisogno a ottobre, ma nel frattempo, essendo trascorsi altri due mesi, la situazione aziendale si è aggravata. 
Per la parte pubblica, ci sarebbe bisogno di un impegno più sostanzioso, ovvero 1,3 miliardi, per poter cominciare a pianificare il futuro di Acciaierie, procedere col piano di rilancio industriale, garantire la continuità aziendale, come peraltro indicato dal Governo, e non limitarsi solo alla contingenza. Di qui la decisione di lasciar cadere la delibera. 
Fonti vicine alla parte privata spiegano invece che quello di cui ora c’è bisogno sono proprio i 320 milioni, ritenuti sufficienti a tenere in piedi l’azienda nei prossimi mesi.
Il miliardo in più viene visto soprattutto finalizzato all’acquisto degli impianti, da farsi entro maggio prossimo, e averli in proprietà costituisce la vera garanzia di continuità aziendale. 
Tuttavia, prima di parlare di acquisto, spiegano le fonti vicine al privato, bisogna rinegoziare il prezzo che all’epoca fu fissato in 1,8 miliardi, tolti i canoni di fitto versati, sulla base del nuovo valore attualizzato.  

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