Da domani Acciaierie d’Italia avvierà le operazioni di fermata dell’altoforno 1. Lo ha comunicato l’azienda in una lettera inviata a Comune e Provincia di Taranto, comando dei Vigili del Fuoco, Protezione civile ed altri enti. La lettera non sarebbe stata inviata ai ministeri delle Imprese e dell’Ambiente.
Non sono specificati i motivi della fermata.
Le conseguenze
Da vedere, ora, quali eventuali contraccolpi questo potrà avere sulla forza lavoro. L’ex Ilva ha chiesto la cassa per 2.500 dipendenti come quota massima. È probabile, quindi, che i numeri, in conseguenza dello stop dell’altoforno 1, possano avvicinarsi di più alla quota massima. È già in corso dal 19 giugno la nuova tranche di cassa integrazione. Inserita nell’articolato del decreto legge sulla Pubblica amministrazione, approvato a giugno dal Consiglio dei ministri, la cassa durerà sino a fine anno.
L’azienda, stando a fonti sindacali, sino alla fine di questa settimana non aveva ancora ricevuto dal ministero del Lavoro l’autorizzazione alla cassa. Si tratta, è evidente, di un passaggio formale, visto che a monte c’è comunque un decreto legge, e in ogni caso questa cassa si salda alla precedente, ripartita a fine marzo e poi interrottasi il mese scorso perché il plafond assegnato al sito di Taranto si è esaurito. Altra verifica riguarderà poi gli obiettivi di produzione per il 2023. AdI ha dichiarato che effettuerà in quest’anno 4 milioni di tonnellate ma l’andamento altalenante degli impianti potrebbe avere una qualche influenza.
La fermata di un altoforno su tre è destinata a riproporre lo stato della fabbrica, che da tempo i sindacati hanno denunciato essere estremamente critico. Risale a qualche giorno fa la nuova protesta, fatta in contemporanea, dei sindacati provinciali e di quelli nazionali. A ciò si aggiunga che Fim, Fiom e Uilm sono tornate a sollecitare il 27 luglio un incontro al ministro Adolfo Urso, anche se per parlare dell’esodo volontario dei dipendenti di Ilva in amministrazione straordinaria.