Il futuro incerto dell'ex Ilva: timori per Afo2 ed esuberi

Il futuro incerto dell'ex Ilva: timori per Afo2 ed esuberi
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Lunedì 6 Gennaio 2020, 12:13 - Ultimo aggiornamento: 7 Gennaio, 00:00
L'attesa è ormai agli sgoccioli. La prima grande decisione del 2020 è quella del Tribunale del Riesame di Taranto. Entro domani, martedì 7 gennaio, i giudici dovranno decidere senza alcuna possibilità di rinvio se accogliere o meno la richiesta di proroga della facoltà d'uso dell'Altoforno2, presentata dai Commissari dell'Ilva in amministrazione straordinaria. Una scelta importante, decisiva per il futuro dell'acciaieria jonica e che peserà, nell'immediato, su quasi duemila lavoratori per i quali la fermata dell'altoforno significherebbe cassa integrazione da subito.

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L'eventuale diniego alla richiesta degli ex amministratori dell'Ilva per il prosieguo dell'attività dell'impianto influirebbe infatti sull'attuale produzione del gestore privato: ArcelorMittal.
Lo spegnimento dell'altoforno 2 provocherebbe un rallentamento della produzione: riducendosi l'attività dell'acciaieria gli esuberi di personale sarebbero inevitabili. Ecco perché i sindacati non nascondono le loro preoccupazioni. Anzi parlano di una «tragedia» occupazionale in caso del no della magistratura alla prosecuzione di Afo2.

«Nel solo impianto di Taranto ci sarebbero 4.700 esuberi. Un'ipotesi che non potremmo mai avallare. Se si ferma l'Altoforno 2 saremo pronti ad una trattativa sul modello dell'Ast di Terni», ha affermato Rocco Palombella, segretario generale della Uilm Uil, il sindacato più rappresentativo nell'ex Ilva di Taranto.

L'acciaieria di Terni - guidata all'epoca della crisi dalla stessa manager Lucia Morselli che recentemente è diventata presidente di ArcelorMittal Italia - è diventata il simbolo della lotta per la difesa della siderurgia con scioperi e manifestazioni, un braccio di ferro senza sconti che vide addirittura u n presidio permanente con astensione dal lavoro degli operai per oltre un mese di fila. «Come potremo mai firmare un accordo con migliaia e migliaia di lavoratori in meno, seimila inattivi complessivamente se ai 4.700 si sommano i 1900 già in cassa integrazione?», si chiede in modo pleonastico Palombella.

Ai sindacati non basta, e l'hanno già detto a chiare lettere, i possibili ammortizzatori sociali di cui parla il governo. Seimila lavoratori a casa, con una fabbrica ancora in attività e tanti punti interrogativi, insomma, è una prospettiva ben lontana da quella dell'accordo del 6 settembre raggiunto tra ArcelorMittal e i sindacati dei metalmeccanici per dare a 8200 lavoratori diretti un futuro occupazionale nella nuova proprietà del siderurgico. Non a caso i sindacati temono di essere estromessi dalla trattativa ancora aperta tra il Governo e la stessa multinazionale dell'acciaio.

«L'equilibrio che raggiungerà il governo con Mittal non potrà essere quello previsto con il nostro accordo. È per questo che chiediamo che il tavolo di confronto sindacati-Mittal proceda contestualmente a quello tra governo e multinazionale. Non possiamo prendere semplicemente atto di decisioni adottate all'interno di una maggioranza di governo, da commissari straordinari e da ArcelorMittal che a quel punto potrebbero dire: questo è l'accordo ora fate l'intesa sul piano industriale. Certo, a meno che non ci stupiscano riassorbendo tutti gli esuberi e tratteggiando un piano credibile con una tempistica anche sul piano ambientale», afferma ancora il sindacalista tarantino oggi al vertice nazionale della Uilm.
L'altoforno 2 dunque è un pezzo importante dello scacchiere complesso ma non è l'unico problema da risolvere. Sicuramente influenzerà la scelta di ArcelorMittal: restare nell'affare Ilva o provare a sfilarsene?
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