Altoforno 2, tre mesi per la messa in sicurezza: ecco cosa accadrà

Altoforno 2, tre mesi per la messa in sicurezza: ecco cosa accadrà
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Martedì 22 Ottobre 2019, 09:43
Facoltà d’uso dell’afo2, all'ex Ilva di Taranto, subordinata all’adempimento delle prescrizioni. Il tribunale in funzione di giudice dell’appello lo aveva specificato con il dispositivo depositato il 17 settembre scorso. Ieri, il collegio ha ribadito i tempi entro cui dovranno essere eseguiti tutti gli adempimenti. Si tratta di cinquantaquattro giorni per l’effettuazione delle analisi di rischio; e di ottantaquattro giorni per realizzare l’automazione delle operazioni attualmente eseguite nel campo di colata Tmt (Tappingmeasuring tecnology). Si tratta di termini improcrastinabili, secondo le disposizioni del giudice dell’appello, che erano state indirettamente anticipate attraverso il dispositivo, allorchè il tribunale (collegio presieduto dalla dottoressa Tiziana Lotito, giudice estensore dottor Giovanni Caroli) aveva fatto riferimento al provvedimento del pm dottoressa Antonella De Luca, emesso nel settembre 2015.

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Le scadenze fissate dal tribunale partono dalla data di emissione del dispositivo, cioè dal 17 settembre 2019. Dal che se ne deduce che la completa analisi di rischio dovrà essere concretata entro i primi quindici giorni di novembre. Prima del prossimo Natale, invece, il campo di colata Tmt dovrà essere dotato di strumentazioni tecnologicamente avanzate. Tutto ciò, ha scritto il tribunale, «evidenziata la significativa riduzione delle esigenze cautelari», affinchè «la facoltà d’uso dell’altoforno, finalizzato ad evitarne il fine-vita, non vanifichi le finalità di tutela dei lavoratori, ma anzi miri ad attuarle (il riferimento è alle prescrizioni) in tempi brevi». Quest’ultimo concetto appare come una concreta risposta al fiume di polemiche che determinò il deposito del dispositivo, allorchè la decisione del tribunale apparve “remissiva” verso le esigenze della grande industria.

Sul punto, però, i commenti apparvero decisamente sprecati e fuorvianti, poggiati come furono su motivazioni non ancora conosciute. In ogni caso, proprio in riferimento alle ragioni di sicurezza che avevano mosso la procura nel provvedimento con cui aveva impartito a suo tempo le prescrizioni all’Ilva, dopo l’incidente in cui aveva perso la vita il povero Alessandro Morricella, il tribunale d’appello ha evidenziato come la facoltà d’uso, subordinata all’esecuzione dei lavori in tempi stretti, «appare al collegio la via per il doveroso contemperamento di tutti i diritti coinvolti nella vicenda in esame». Il tribunale, peraltro, esaminando il profluvio di documentazione agli atti, non ultime le indicazioni proposte dalla difesa dell’Ilva in amministrazione straordinaria che attraverso l’avvocato Angelo Loreto aveva impugnato il “no” del dottor Maccagnano (giudice che celebra il processo per la morte di Morricella), ha valorizzato la serie di adempimenti che hanno cambiata la qualità del lavoro in afo2 dall’incidente mortale in poi.

Non sono infatti passati inosservati i rilievi positivi del custode giudiziario, evidenziati in una relazione dell’ingegner Barbara Valenzano, secondo i quali gli adempimenti realizzati sono stati finalizzati «ad assicurare il corretto funzionamento dell’altoforno, ad allontanare gli operai dal foro di colata, ad impedire getti improvvisi di materiale incandescente e comunque a schermarli». Si tratta di adempimenti che, muovendo dall’analisi concreta dello stato originario dei luoghi, rendono «le condizioni di sicurezza dell’afo2 ben maggiori rispetto a quelle esistenti al tempo dell’infortunio». Condizioni di sicurezza che all’epoca, ha concordato il collegio dell’appello, «erano assai ridotte».
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